Libro: L'Avvocato di Dio
Parole: #fede #resistenza #antifascismo impegno
Qualche volta, a chi legge molto, càpita di scegliere la
lettura come riparo dalla realtà.
La realtà più orribile, però, non lascia scampo. Solo i
pazzi e gli ignoranti purissimi 100% ne restano fuori.
Nel corso del primo anno di pandemia io ho raddoppiato le
pagine lette. Mi riparavo. Stavo molto meglio mentre leggevo, eppure non
cambiavo una virgola dell’orribile realtà in cui ero immerso. Potevo però
tentare di non pensarci. Vorrei essere lieve, ma non è periodo...
Leili Maria Kalamian ha scritto un romanzo che non lascia scampo,
perché il suo L’avvocato di Dio porta il lettore nei luoghi della guerra
civile italiana e al punto di non ritorno a cui essa ha condotto molti nostri
concittadini: i campi di concentramento.
Io – parlo da consumatore – ho sempre avuto avversione per le
iniziative librarie sul Giorno della Memoria, perché, a loro modo, si
intromettevano su una tragedia e soprattutto perché le trovavo distratte e
forzate. Sperando che qualcuno entrasse PER il Giorno della Memoria, si
facevano vetrine PER il Giorno della Memoria. Mi chiedevo: ma incide? Ma è
utile alla collettività? Ne dubitavo.
Perché? Perché le vetrine durano una settimana e poi si
passa alla trovata successiva – che potrebbe essere il Carnevale o, che so, San
Valentino. E le cose sono ben distinte, direi. Si passa in pochi giorni dalla
campagna “Per non dimenticare” alla campagna “Se ami, dillo con un libro”.
Queste cose servono a vendere i libri. A noi – a TUTTI noi - serve ALTRO. Ci
serve che i libri su olocausto, guerra e barbarie simili VENGANO LETTI. E ci
serve un’altra cosa: che quei libri vengano scritti. E scritti. E scritti
ancora.
Che si faccia ricerca, e memoria, e ancora ricerca, e ancora
memoria.
Perché? Perché i testimoni muoiono
e perché l’essere
umano è sopravvalutato.
Leili Maria Kalamian ha scritto un libro focalizzandosi
sulla figura di Francesco Daveri, giovane avvocato piacentino morto prigioniero
vicino a Mathausen a soli 42 anni.
Il lavoro di Leili è stato lungo e profondo. Posso scriverlo
perché in corso d’opera (leggi: #pandemia) ci siamo sentiti. A un certo punto
il tanto materiale ha preso forma e lei ha deciso di pubblicare, così, il suo
primo romanzo. E ha fatto bene! Alla memoria di quell’uomo straordinario, a sua
figlia, la signora Maria Pia Daveri, e ha fatto bene a tutti quelli
che lo leggeranno. Perché è un bellissimo romanzo. Storico, per l’accuratezza,
e fantastico, per la statura morale del protagonista, ma questi due aspetti
insieme non fanno che la metà del valore del libro, perché Leili ha raccolto e
pubblicato nello stesso volume anche le lettere di Daveri!
Lorenzo Bianchi, Emilio, Cecchino
= tutti i nomi di un santo laico: Francesco Daveri. Un personaggio che merita
di essere ricordato per quanto fortemente ha sperato. Era un uomo di azione, ma
spinto da una speranza potente che veniva da un luogo lontano e misterioso. Era
un uomo che ha avuto e SOPRATTUTTO dato speranza, non un capo facinoroso, ma un
leader gentile. Rinunciò alla salvezza per essere utile all’Italia. Penso che
sia utile oggi sentire questa fiducia, e ricordare chi si è impegnato per gli
altri, soprattutto se subodoriamo, leggendo, che è stato tradito. Sarebbe stupido
dire: “fidarsi è bene non fidarsi è meglio”: significa perdere di vista la
posta in gioco. Mentre leggevo ho pensato “questo avvocatino è intelligente,
sapeva di rischiare che qualcuno lo vendesse”.
Ci sono le lettere del fondo Berti tra compagni di lotta,
lotta decisiva per la liberazione. Lettere da San Vittore, dove rimase fino al
16 gennaio del 1945. Tre mesi dopo morì nel Campo di Gusen II.
Sono lettere operative, e innamorate, forti e garbate nonostante le costrizioni e la stanchezza. Una di queste, per la moglie, contiene la confessione di una passione irrefrenabile: quella per… La politica! Daveri incarna l’eroismo politico: quanto è lontano quell’eroe dai nostri giorni? Quanto è lontano il mio spirito da quell’essere coraggioso e generoso? Tanto.
Una lontananza incalcolabile, che però questo libro, in modo
misterioso, è riuscito a quantificare. Ho capito 2 cose nuove: a) che la
politica non è filosofia, al massimo contiene della filosofia (come
contiene altre funzioni), e b) che senza l’urgenza siamo tutti
ciarlatani. Io stesso, proprio ora, starei scrivendo a vànvera se scrivessi per
indicare, per additare ad altri una figura sfocata, persa nel lontano 1945. Ma
questo libro ha rilanciato quella figura, la fa più prossima. È ora abbastanza
vicina perché io mi ci possa specchiare e confrontare. E mi sta facendo
riflettere. E non è parlare a vanvera. Perché NON ve la sto indicando. La sto
guardando. Posso ascoltarla.
Per questo ringrazio la mia amica Leili.
Ha fatto ricerca (almeno 3 anni, ma potrei essere stato
basso).
Ha scritto un nuovo libro (che vale due libri! Perché al
romanzo seguono appendici preziose).
Il romanzo è avvincente e il suo radicamento nella storia mi
impedisce di scrivere qui i passaggi che ho preferito. Verrebbe male. Ci sono
civismo, tante fede, amore e sacrificio, ricostruiti con ritmo e
assemblati con originalità per una trama che fila. Ci sono degli avanti
indietro che vanno seguiti con una certa attenzione. Tuttavia, poche righe per
tratteggiare i suoi estremi possono fargli onore “le scrivo”: vediamo... Cosa voleva
l’avvocato Francesco Daveri dalla battaglia a cui si era consacrato? Che tra
italiani e stranieri, sia i primi alleati tedeschi che i liberatori, e che tra
italiani di Salò e il resto della popolazione nazionale non trovasse posto solo
la giustizia, cui lui teneva molto, ma anche la misericordia.
“Anche Cecchino avrebbe voluto così:
la misericordia per
uscire dalla spirale di violenza.”
Con l’Appendice B Lettere (pagina
145) entriamo in un altro libro. La stessa storia viene “rianimata” da alcune
lettere. Si tratta di documenti del 1944 e del 1945, consultabili nell’Archivio
di Palazzo Farnese. Le lettere di Daveri a don Firmino Biffi sono
tutte le mie preferite: in particolare quelle scritte quando Daveri si trovava
in esilio, ed era quindi lontano da sua moglie, dai figli e dai suoi amici. E’
come interpretare dei bagliori di luce in un antro oscuro: Daveri sente di
credere fortemente in quel che fa, e spiega a sé stesso il senso del
sacrificio. Lo trovo molto incoraggiante e pedagogico. Sapeva di avere più
probabilità di morire che di sopravvivere a quell’epoca violenta, ma anche con
una possibilità avrebbe scelto di tentare. “io sono diverso, molto diverso,
troppo diverso” diceva di sé (pag. 159, una pagina d’oro per chi vuole
riflettere sul rapporto tra uomo e donna), pensando all’approccio alla vita, in
particolare alle cose materiali.
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