sabato 30 aprile 2022

Francesco Daveri, un piacentino indimenticabile


Libro: L'Avvocato di Dio

Parole: #fede #resistenza #antifascismo impegno

Qualche volta, a chi legge molto, càpita di scegliere la lettura come riparo dalla realtà.

La realtà più orribile, però, non lascia scampo. Solo i pazzi e gli ignoranti purissimi 100% ne restano fuori.

Nel corso del primo anno di pandemia io ho raddoppiato le pagine lette. Mi riparavo. Stavo molto meglio mentre leggevo, eppure non cambiavo una virgola dell’orribile realtà in cui ero immerso. Potevo però tentare di non pensarci. Vorrei essere lieve, ma non è periodo...

Leili Maria Kalamian ha scritto un romanzo che non lascia scampo, perché il suo L’avvocato di Dio porta il lettore nei luoghi della guerra civile italiana e al punto di non ritorno a cui essa ha condotto molti nostri concittadini: i campi di concentramento.

Io – parlo da consumatore – ho sempre avuto avversione per le iniziative librarie sul Giorno della Memoria, perché, a loro modo, si intromettevano su una tragedia e soprattutto perché le trovavo distratte e forzate. Sperando che qualcuno entrasse PER il Giorno della Memoria, si facevano vetrine PER il Giorno della Memoria. Mi chiedevo: ma incide? Ma è utile alla collettività? Ne dubitavo.

Perché? Perché le vetrine durano una settimana e poi si passa alla trovata successiva – che potrebbe essere il Carnevale o, che so, San Valentino. E le cose sono ben distinte, direi. Si passa in pochi giorni dalla campagna “Per non dimenticare” alla campagna “Se ami, dillo con un libro”. Queste cose servono a vendere i libri. A noi – a TUTTI noi - serve ALTRO. Ci serve che i libri su olocausto, guerra e barbarie simili VENGANO LETTI. E ci serve un’altra cosa: che quei libri vengano scritti. E scritti. E scritti ancora.

Che si faccia ricerca, e memoria, e ancora ricerca, e ancora memoria.

Perché? Perché i testimoni muoiono

 e perché l’essere umano è sopravvalutato.

Leili Maria Kalamian ha scritto un libro focalizzandosi sulla figura di Francesco Daveri, giovane avvocato piacentino morto prigioniero vicino a Mathausen a soli 42 anni.

Il lavoro di Leili è stato lungo e profondo. Posso scriverlo perché in corso d’opera (leggi: #pandemia) ci siamo sentiti. A un certo punto il tanto materiale ha preso forma e lei ha deciso di pubblicare, così, il suo primo romanzo. E ha fatto bene! Alla memoria di quell’uomo straordinario, a sua figlia, la signora Maria Pia Daveri, e ha fatto bene a tutti quelli che lo leggeranno. Perché è un bellissimo romanzo. Storico, per l’accuratezza, e fantastico, per la statura morale del protagonista, ma questi due aspetti insieme non fanno che la metà del valore del libro, perché Leili ha raccolto e pubblicato nello stesso volume anche le lettere di Daveri!

Lorenzo Bianchi, Emilio, Cecchino = tutti i nomi di un santo laico: Francesco Daveri. Un personaggio che merita di essere ricordato per quanto fortemente ha sperato. Era un uomo di azione, ma spinto da una speranza potente che veniva da un luogo lontano e misterioso. Era un uomo che ha avuto e SOPRATTUTTO dato speranza, non un capo facinoroso, ma un leader gentile. Rinunciò alla salvezza per essere utile all’Italia. Penso che sia utile oggi sentire questa fiducia, e ricordare chi si è impegnato per gli altri, soprattutto se subodoriamo, leggendo, che è stato tradito. Sarebbe stupido dire: “fidarsi è bene non fidarsi è meglio”: significa perdere di vista la posta in gioco. Mentre leggevo ho pensato “questo avvocatino è intelligente, sapeva di rischiare che qualcuno lo vendesse”.

Ci sono le lettere del fondo Berti tra compagni di lotta, lotta decisiva per la liberazione. Lettere da San Vittore, dove rimase fino al 16 gennaio del 1945. Tre mesi dopo morì nel Campo di Gusen II.

Sono lettere operative, e innamorate, forti e garbate nonostante le costrizioni e la stanchezza. Una di queste, per la moglie, contiene la confessione di una passione irrefrenabile: quella per… La politica! Daveri incarna l’eroismo politico: quanto è lontano quell’eroe dai nostri giorni? Quanto è lontano il mio spirito da quell’essere coraggioso e generoso? Tanto.

Una lontananza incalcolabile, che però questo libro, in modo misterioso, è riuscito a quantificare. Ho capito 2 cose nuove: a) che la politica non è filosofia, al massimo contiene della filosofia (come contiene altre funzioni), e b) che senza l’urgenza siamo tutti ciarlatani. Io stesso, proprio ora, starei scrivendo a vànvera se scrivessi per indicare, per additare ad altri una figura sfocata, persa nel lontano 1945. Ma questo libro ha rilanciato quella figura, la fa più prossima. È ora abbastanza vicina perché io mi ci possa specchiare e confrontare. E mi sta facendo riflettere. E non è parlare a vanvera. Perché NON ve la sto indicando. La sto guardando. Posso ascoltarla.

Per questo ringrazio la mia amica Leili.

Ha avuto memoria (tutto parte dai cimeli di suo nonno materno, Giuseppe Gardi).

Ha fatto ricerca (almeno 3 anni, ma potrei essere stato basso).

Ha scritto un nuovo libro (che vale due libri! Perché al romanzo seguono appendici preziose).

Il romanzo è avvincente e il suo radicamento nella storia mi impedisce di scrivere qui i passaggi che ho preferito. Verrebbe male. Ci sono civismo, tante fede, amore e sacrificio, ricostruiti con ritmo e assemblati con originalità per una trama che fila. Ci sono degli avanti indietro che vanno seguiti con una certa attenzione. Tuttavia, poche righe per tratteggiare i suoi estremi possono fargli onore “le scrivo”: vediamo... Cosa voleva l’avvocato Francesco Daveri dalla battaglia a cui si era consacrato? Che tra italiani e stranieri, sia i primi alleati tedeschi che i liberatori, e che tra italiani di Salò e il resto della popolazione nazionale non trovasse posto solo la giustizia, cui lui teneva molto, ma anche la misericordia.

“Anche Cecchino avrebbe voluto così: 

la misericordia per uscire dalla spirale di violenza.”

Con l’Appendice B Lettere (pagina 145) entriamo in un altro libro. La stessa storia viene “rianimata” da alcune lettere. Si tratta di documenti del 1944 e del 1945, consultabili nell’Archivio di Palazzo Farnese. Le lettere di Daveri a don Firmino Biffi sono tutte le mie preferite: in particolare quelle scritte quando Daveri si trovava in esilio, ed era quindi lontano da sua moglie, dai figli e dai suoi amici. E’ come interpretare dei bagliori di luce in un antro oscuro: Daveri sente di credere fortemente in quel che fa, e spiega a sé stesso il senso del sacrificio. Lo trovo molto incoraggiante e pedagogico. Sapeva di avere più probabilità di morire che di sopravvivere a quell’epoca violenta, ma anche con una possibilità avrebbe scelto di tentare. “io sono diverso, molto diverso, troppo diverso” diceva di sé (pag. 159, una pagina d’oro per chi vuole riflettere sul rapporto tra uomo e donna), pensando all’approccio alla vita, in particolare alle cose materiali.


Mi da l’idea di un uomo che comprende la posta in gioco e il valore della vita di un singolo. Ma a livello super-umano. A livello di eroe. Non un eroe che picchia, spara o si lancia in mischia: un campione che aiuta i compagni a dare il meglio di sé sapendo quanto è temibile l’avversario, e potente e spregiudicato. Un esempio che ti richiama al senso della vita. 
Chi è Daveri?

Un modello a cui guardare con tenerezza e gratitudine.