giovedì 22 dicembre 2016

L'uomo assente ha detto Eccomi!

Libri: Eccomi, Fuggire da sé, La fatica di essere sé stessi.
Parole: assenza, famiglia, responsabilità
+ appartenenza.

Se niente importa, Ogni cosa è illuminata, Molto forte incredibilmente vicino. Tre opere, tre prove di originalità ma tutte di successo, e ora, “Eccomi”, ultimo romanzo di Jonathan Safran Foer apprezzato da critica e pubblico. E’con gioia che dico: mi è piaciuto tantissimo!
Dire che Eccomi sia sull’allontanarsi di una coppia è riduttivo, ma ho pensato che quell’“eccomi” strillato in copertina volesse farmi pensare al suo contrario, il “non-esserci”, l’allontanarsi, l’estrangement, come ha scritto Foer stesso nella propria lingua.
Sono talmente convinto di questo paradosso, che non solo il nucleo del post è l’ASSENZA, ma ho trovato anche dei libri su cui appoggiare questa riflessione. Si tratta di due saggi sul “non essere”, e spero proprio di dimostrare che c’è un legame tra una certa saggistica e la letteratura contemporanea. O almeno con il “non-eccomi” che è cardine di questo romanzo.

I protagonisti di Eccomi sono Jakob e Julia Bloch, 40enni con tre figli maschi e un cane, di Washington D.C.
L’elenco degli spunti che la loro storia mi ha dato è semplicemente interminabile. Qui, però, ho scelto 3 parole-chiave più una, perciò mi auto-censuro volentieri e parto da questo punto: Jakob e Julia sono cresciuti bene come famiglia, non altrettanto come individui.
Come famiglia, hanno già adottato una lunga serie di norme e rituali, e hanno perfino affinato quelle tecniche di reciproche sopportazioni, e concessioni, e omissioni, e orecchie-da-mercante in grado di assicurare una pacifica convivenza. Sembra impossibile che stiano trascurando qualcosa… Com’è, come non è, i binari delle loro vite non sono paralleli. E’ l’inizio della storia e li vediamo seduti davanti a un rettore di scuola ebraica, che divergono sulla questione del Bar Mitzvah di Sam, il primogenito. Le scene successive però ci illustrano i loro giorni da fidanzati, fatti di poesia e intimità, e non c’è dubbio che i due abbiano per anni formato una brillante coppia americana, felice sotto tutti i punti di vista. Foer ci racconta un allontanamento: tra loro, e di loro da sé stessi. Entrambi sono cercatori di consapevolezza, e di significati, però hanno bagagli che li frenano, vivono zavorrati, sembrano sovraccarichi, e la loro ricerca annaspa nel ménage familiare. Il loro amore è così: “era troppo amore per essere felici” (p. 601). Nel caso di Jakob, che mi sembra proprio un ottimo accumulatore, la zavorra ulteriore è l’appartenenza, passiva, alla comunità ebraica. Suo padre, Irv, sembra inserito da Foer apposta per fornirci un riferimento per capire chi sia Jakob: Irv Bloch, personaggio poco definito, è un patriarca ingombrante, un uomo diretto verso la terza età mentre lotta col proprio tempo, convinto di una certa superiorità ebraica. Jakob non è come lui. I loro dialoghi sono esilaranti, spesso Irv rimprovera il figlio per non aver ancora scritto un libro che racconti la storia degli Ebrei. Ma Jake scrive per la HBO e preferisce occuparsi “solo” di intrattenimento. D’altra parte è bravissimo a distrarre gli altri e a distrarsi (smarrisce drammaticamente un cellulare…).
Julia è architetto, e mamma, tanto mamma! Troppo mamma: quando conta i suoi figli include anche il marito. Si sorprende a progettare monolocali dove vivere da sola. Cerca di giustificare questo sogno ad occhi aperti col fatto che è costretta a sobbarcarsi gli oneri più pesanti della famiglia. E’ colpa di Jakob! Cosa è che ti blocca, Julia, cos’è che ti impedisce di portare fino in fondo un tradimento? Prevale la disciplina, la stessa per cui obbligherai il tuo primogenito a fare Bar Mitzvah? Prevale la colpa?
Nessuno dei due è cresciuto individualmente, pur avendo una profonda esigenza di farlo.

Tappa dopo tappa, i nostri  protagonisti superano le vicende della vita, talvolta disonestamente, ma sempre con una valida ragione! Ragionano benissimo. Ma un simile modo di procedere dove conduce?
Non c’è dubbio che “avere figli” sia una scelta di appartenenza particolarmente delicata. Come innumerevoli coppie, anche loro scelgono con convinzione di avere figli; questo progetto così importante lo condividono totalmente. La vita da famiglia, però, sembra aver distratto Julia e Jakob; li ha distolti sa sé, o forse li ha del tutto fagocitati. Come un buco nero, la forza creatrice iniziale rischia di risucchiare perfino sé stessa. Da questo punto di vista, la trama è davvero avvincente. E non vorrei aggiungere altro sulla storia. Solo un elemento: a metà libro circa (p. 312) nell’intimità dei Bloch si accende una nuova luce, che ci consente di vedere molto lontano. Succede un fatto straordinario in Israele, un fatto per cui ogni singolo ebreo vivente sul pianeta si sente chiamato in causa. Per me è stato come se le pareti di casa Bloch cadessero a terra all’unisono, ma senza danni, come una casa di Barbie. Se la Letteratura ti mette dentro a una storia più lunga della tua vita o può farti partecipare a qualcosa in cui son coinvolte altre persone, altri popoli di altri tempi e altri spazi, allora mi sembra che in quel passaggio lo scrittore renda plastica l’esperienza letteraria attraverso l’irruzione della Storia in casa Bloch.
Come fa? Così: C’è un cataclisma in Israele, il paese è in ginocchio e circondato da nemici pronti a finirlo. La patria chiama! E’ ora di rispondere “Eccomi!”

E Jakob che fa? In questo punto del romanzo si fondano coerenza del personaggio (Jakob), stupore del lettore (io), creatività dell’autore (Foer): l’autore svela, con Jakob, una interiorità umana decisamente difficile da descrivere -impossibile per me ora- ma, credetemi, bella da leggere. Sembra ovvio che il nostro Jakob risponda “eccomi”.
Invece non parte. 
Fa un pezzetto di strada e torna indietro. Meglio non essere in Israele nel pieno di una crisi e restare a Washington D.C., a non-essere né me né chi ci si aspetta che io sia.

Qui, viene a farci compagnia David Le Breton, autore di uno dei saggi che ho letto per arricchire la mia esperienza di Eccomi. Le Breton ci dice che oggi personaggi e persone sono spesso assenti da sé, che la tentazione dell’assenza è al centro della letteratura. Lo dice attraverso un libro recentemente pubblicato da Raffaello Cortina: Fuggire da sé* (questi concetti si trovano a pag. 168 e a pag. 166). Secondo lui, la fonte di questa forza dell’assenza è l’“individualismo democratico delle nostre società”. Questo mi ha fatto pensare. Sarebbe interessante approfondire questa osservazione, ma mi piace anche evitare la spiegazione e passare direttamente a dire che, riflettendoci, mi sono detto che viceversa l’essere assenti da noi stessi (per distrazione, per routine, per pigrizia o chissà cos’altro) è la fonte dell’individualismo democratico. Per esempio sono io responsabile delle reazioni alla mia cultura di provenienza: se ne accetto le regole, se la subisco o se la stimolo contrastandola. 
L’individuo è consapevole e presente per definizone. Chi non risponde “presente” è meno individuo di chi lo fa. Se io fossi sempre responsabile e presente nei miei gesti, ridurrei la mia quota di contributo alla società individualista; per Jakob è un atto di responsabilità criticare la propria cultura di provenienza (facendo venire l’ulcera a suo padre), rompere con ciò che è logico per tutta la comunità. Jakob sceglie di essere assente per Israele, sulla base di una reazione alla propria cultura di provenienza e nonostante il suo senso di appartenenza. 
La sua ritirata è come guardarsi allo specchio e dirsi, dopo averci soffiato contro: “Ecco-Me”. E in quel momento è, sì, un uomo assente, ma che si comporta in modo responsabile, come raramente aveva fatto lungo la sua storia. Ammette chi è, anche se se ne vergogna. Io sono le mie scelte, e davanti alla mia responsabilità non abbasso lo sguardo, non lo distolgo e non mi tiro fuori, non mi dis-traggo, non me la posso cavare dicendo che la società è individualista! Tutte le scelte sono proprie. Questo vale se la società è democratica, se è individualista, se è teocratica e perfino se è collettivista. Dare la colpa agli altri non è l’essenza dell’individualismo. Colpa della democrazia occidentale, quindi? Chiedete a Le Breton! Vi dirà anche cose interessanti circa la voglia di lasciare un segno sulla società (vedere pure cap. V di Eccomi), e sulla competitività che ne consegue. Poi nelle pagine di Le Breton c’è un gancio formidabile che acchiappa Eccomi e lo rende più interessante: “scegliere fa bene! Non scegliere conduce alla depressione”. Non scegliere è un’espressione del non essere. 

Su questo punto converge anche un altro libro recente, più tecnico: La fatica di essere sé stessi**, di Alain Ehrenberg, Einaudi. Lì si legge pure che l’inibizione, quel sentirsi bloccati - a una festa come in ambito professionale  - che equivale a non-fare-qualcosa è sintomo di depressione. Non è a caso che si usa il termine “desiderio” e non “esigenza” di essere sempre all’altezza. Qualcuno, in incognito, oggi si aspetta qualcosa da noi? Be’, ma certo! E noi ci affanniamo su cose che, prima, non erano importanti.
Stando a questo, Julia & Jakob sembrano entrambi depressi. E, se posso dire la mia, ci sta. Dov’è il bello? Secondo me il bello è che Foer racconta i loro di tentativi di redimersi.
Provano a redimersi sia per fare “la cosa migliore per i ragazzi”, sia per sentirsi meglio e, una buona volta, accettare l’impossibilità dell’impresa. Io aggiungo, da fruitore dell’opera: tentano di salvarsi per, finalmente, essere sé stessi, smettendo di pensare a come dovrebbero essere.

Quando ci si sente in modalità “vorrei-ma-non–posso”, si cerca qualcosa che offra quel sollievo tanto desiderato: la GIUSTIFICAZIONE. A cosa? _______  oh, a tante cose! Ognuno ci metta la sua.

Su!

(la traduzione di Eccomi è a cura di Irene A. Piccinini)

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lunedì 2 maggio 2016

L'antilibraio: la dualità umana



Ogni mestiere ha i suoi rischi. E il suo lato oscuro. Per esempio il mio lato oscuro, che ogni tanto sento prevalere in me, è l'antilibraio. Sapete quanto c'ho messo a scattare la foto? Si capisce, almeno?
L’antilibraio è colui che opera ai danni del ruolo/istituzione/simbolo-libraio (sul perchè e il percome il libraio possa essere inteso come un simbolo o addirittura un'istituzione, rimando a post futuri).  Il presupposto è che un libraio perbene aiuta e ascolta il lettore a trovare una lettura adatta, standogli vicino da pari a pari. L'altro, l'Anti, per qualche ragione, sedotto da una vocina adulatrice (immaginate Palpatine di Star Wars), convinto di essere forte e giusto, sale su un piedistallo e giudica gli altri, oppure cerca di imporre i propri gusti. Mi è senz'altro successo di aver dato consigli di lettura sbagliati, ma quelli non c'entrano perchè sono in buona fede: parlo invece di quando mi fisso a proporre un libro che mi piace perchè ritengo "doveroso" che lo si legga.

L’antilibraio nasce come un'“idea” dalla coscienza del libraio. Ogni libraio è - in quanto essere umano - portatore sano dell'idea dell'ANTI-SE'-STESSO. Pensate alle diete: stiamo male, malissimo, finalmente andiamo da uno specialista, lui individua una cura e noi... non la seguiamo. Una parte di noi vuole bianco, l'altra vuole nero.
Quell'"idea" iniziale prende forma, prima unicellulare poi più complessa. Nel mio caso è un "Alien" che mi è cresciuto dentro fino ad assumere l’aspetto di Nanouomo. Veramente vivo all’interno di Me, l’antilibraio è presente in nuce* in ognuno di noi. Perchè alla fine si tratta della dualità delle persone.
(Questo tentativo di autocritica forse sotto sotto è un gesto di riavvicinamento al genere umano)

L’evoluzione fetale del futuro antilibraio è rapida. Eccolo, è già omuncolo.
Daigo, Protesser, Delinger e avanti a crescere dentro il Garbin-libraio (per chi vedeva Gordian in tv).
L’antilibraio può svilupparsi articolatamente fino ad occupare tutto l’involucro del libraio, fin quasi a sostituirsi a questo. Il mio aspetto esteriore non cambia, ma dentro ho un conflitto con l'antilibraio. Meglio ha lavorato il libraio, più prospererà l’antilibraio che ha preso corpo in lui. E chi ci ha a che fare non vede nulla!

Cosa fa un antilibraio? Sostanzialmente due cose: fa il maestrino coi clienti e si lascia guidare dalle emozioni nella relazione col pubblico. Io so che questo è sbagliato, eppure ogni tanto mi pare di cascarci. Poi me ne avvedo, cerco di correggere. Anzi, se ho dato l'impressione a qualcuno, mi scuso! Tranquilli: ci sto lavorando! Però mi succede, e mi dispiace, perchè spero che i lettori che mi chiedono qualcosa possano sentirsi aiutati e non oggetti di una lezione o, peggio, giudicati. Fuor di metafora, gli errori ci stanno, ma io faccio un lavoro importante nella diffusione delle idee e nell'intrattenimento delle persone, e ci devo stare attento. Credo che ciò che definisco antilibraio sia un comportamento: quando si perde di vista il senso del nostro lavoro. Succede ad esempio quando non rammentiamo il dovere: favorire l'accesso a libri idee e informazioni, e ci mettiamo a proporre solo i nostri libri preferiti, le nostre idee e le informazioni che ci garberebbe si diffondessero. Trovo che sia una modalità da Parassiti. Voglio che non sia mai la mia modalità. Ma temo che mi possa capitare: finchè sarò umano, almeno!
Perciò: ATTENTI impavidi frequentatori di librerie. E "Attenzione!" prodi libraie e librai: ogni mestiere ha i suoi rischi!


Libro: Questa è l'acqua


Lo spunto per parlare dell'anti-sè-stesso che è in noi - una presenza universale ben più influente del 3% di Neanderthal che ci portiamo dentro - proviene da questo libro di David Foster Wallace (segue DFW). Contiene dei racconti, lunghi e corti, capiti e non capiti, introversi ed estroversi. Un po' di dualità ogni tanto non guasta. Sei racconti, per esattezza. Il sesto l'ho letto sei volte, ma ha già una sua fama, e non ne parlerò. 
Nella discreta produzione del beneamato David, mi pareva importante dare un contributino per riportare in luce due racconti: "Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta" e "Crollo del '69".
Ora, inevitabilmente avrete notate le due foto del post. Continuo a citare Star Wars. SW è il contrario di DFW: SW non ha bisogno di pubblicità. DFW si occupava volentieri di intrattenimento, ma era talvolta sarcasticamente critico verso la "dipendenza" da intrattenimento, l'abuso di spettacolo. Opulento, spettacolare, chiassoso: SW è il contrario di DFW sotto molti aspetti. Non ci piove.
Ma c'è un legame. La fortuna della saga di Lucas sta nella seduzione del Lato Oscuro della Forza su menti potenti e limpide - come quella Anakin (ritratto in sembianza di rollinz nelle foto). Un tema come un'altro? Ok! Di Star Wars mi piace anche la tragedia: figli che si ribellano ai genitori, in un taglio di mani e di arti che è un vero macello per il mio sistema nervoso. Tema caro già agli Antichi greci, eppure un tema che mi urta. Il punto è che queste cose "funzionano". Nei due racconti che ho segnalato, la protagonista è ancora la mente: due menti vengono sedotte. In modo diverso secondo i racconti (anche in un altro racconto c'è un tentativo di seduzione del Male, ma fallisce). 
Depressione: eccola qua, la regina. Nel libro mi pare di non aver letto mai questa parola. Eppure c'è. La depressione viene descritta come lo stato di chi vive sommerso in acqua, e non esiste superficie. Vivi lì dentro e non esci: "solo restrizioni e soffocamento" (pag. 67).
"E' fantastico, mi sbaglio sempre. E' fantastico." Dice uno dei sedotti (pag. 83), ed è "fantastico" davvero, perchè se chi sbaglia sempre non può esser contento, c'è modo e modo di reagire agli errori. Lo scrittore ha trattato quella parola, quella Cosa Brutta - la depressione - , con un brio, con una ironia che sa di lotta ad armi pari con l'anti-sé-stesso che tutti possiamo portarci dentro. E vi dico che, leggendo, non si scoppia a ridere solo perchè si avverte che è una comicità di lotta, di scontro interiore, di resistenza alla seduzione del male. Vorresti ridere ma ti trattieni! Forte, "molto forte, incredibilmente vicino", come direbbe uno bravo a raccontare storie...

* locuzione pomposa, tipica dell'antilibraio che in me tento di sopprimere, da intendere come descritto qui: https://it.wikipedia.org/wiki/In_nuce

mercoledì 13 aprile 2016

La Verità sotto il sole di mezzanotte

Libri: Sole di mezzanotte, Riina family life.
Parole: equilibrio, riesaminare, scrauso, auto-assoluzione.


E infine venne Riina Jr.

Ha fatto scalpore la pubblicazione di un libro da parte del figlio del boss Salvatore Riina. Il picciotto si chiama Giuseppe Salvatore ed HA SEMPRE AVUTO UN GRANDE TALENTO PER LA SCRITTURA. Sfortunatamente, l’attività imprenditoriale di famiglia ha impedito al suo talento di esprimersi, poiché come a un moderno Conte Monaldo, quella attività imponeva a papà Salvatore Senior di avvalersi, pur a malincuore, di tutte le energie disponibili nella Famiglia. Comprese quelle del giovane scrittore. Quando si dice “Braccia tolte alla Letteratura”!

Ma niente può sconfiggere una buona Storia, e prima poi questa trova il modo di essere raccontata!
Così l’opera infine vide la luce. Come fu? A salvarla da un oblio senz'altro immeritato ci ha pensato la RAI, da oltre un secolo – o almeno dall’inizio della trasmissione del Concorso “Miss Italia”- garante delle arti e delle Lettere nel Belpaese. Veicolando l’opera prima di Riina Jr attraverso la migliore delle sue produzioni, Porta a Porta, la RAI ha favorito la diffusione del Verbo Riiniano in tutta la Penisola. Un dovere per il servizio pubblico, un piacere per gli amanti dei libri.

Sono proprio curioso di vedere come va questo libro. Perché mi sento anche io come Giuseppe Salvatore: anche io ho tenuto per anni una grande storia nel cassetto. Trovavo sempre qualcosa che mi impediva di stendere il lavoro. E avevo paura di pubblicare. Misero me, che non mi rendo conto di che privilegio ho, a fare il libraio, e a poter scrivere liberamente quello che mi va.

Visto che non sono in pace con me stesso per aver “osato” scrivere, mi ritrovo qui a processarmi, a giustificarmi. Credo che càpiti a molta gente: questo disagio nello sconfinare là dove per anni abbiamo guardato come un territorio estraneo. Affascinante. Proibito. Da un lato senti urgenza, dall’altro ti trattiene la prudenza. Ti dovrebbe trattenere. A una certa età vuoi equilibrio. C’è chi trova quell'equilibrio nelle relazioni, chi nella famiglia, chi nel lavoro. Non è che stai sempre a cercare le novità a tutti i costi, se non senti un vuoto che vuoi colmare.
Avevo un equilibrio, ed era basato sul lavoro. Poi ti viene quella pazza idea di scrivere... Eh, Giuse’?
Tra le altre cose, l’auto-assoluzione è una prassi diffusa, perciò l’autoassolvermi mi da’ un senso di fratellanza col genere umano che raramente provo. È una forza, non so spiegare. “La Scrittura della Liberazione”! 
Deve essere stato così anche per Riina Jr. 


E poi, la coincidenza!

Io finora ho letto pochi gialli. Quando arriva la novità di uno scandinavo, però, sono sempre attratto, sistematicamente. 
Pochi giorni fa è arrivato Sole di mezzanotte, di Jo Nesbø. Lui  è uno dei miei preferiti - se non altro perché si è trasformato da calciatore di bassa lega a scrittore di successo: già LUI è un personaggio da libro. E’ stato capace di sorprendermi più di una volta, e quindi è diventato un “LOGO”: i libri firmati da lui mi ispirano fiducia. La fiducia che ti da un panino mozzarella e prosciutto. Infatti, ho divorato il romanzo. 

Si tratta di un cosiddetto “Libro gassosa”, da mandar giù a grandi sorsi senza star troppo a riflettere.
Il protagonista è un altro che si autoassolve, Jon Hansen. E qui ci ho voluto vedere una coincidenza con la mia auto-assoluzione e con quella del promettente Riina Jr. Questo Jon è uno che per salvare chi ama è disposto prima a spacciare droga e poi anche a “liquidare” i cattivi pagatori (vedi le similitudini con gli affari di famiglia?). Però è e resta, fino all’ultima pagina, un uomo di sani principi, uno che non sposerebbe MAI una donna già sposata. Meglio prima ammazzare il marito. E infatti qualche pallottola vagante finisce nelle tempie giuste. Questa e altre eccezioni a un discreto senso morale ci consegnano un protagonista credibile. Dopotutto è un uomo braccato a causa di varie sfighe, che vi invito a mettere in fila leggendo il libro; libro che sa correre e prendersi le pause, al momento giusto. A proposito di pause: tolti i flash back, la narrazione è ambientata nel Finnmark Norvegese, un placido posto, non remoto: di più, trapassato remoto, dove ciascuno può contare su una superficie di 0.7 km² tutta per sè.  

A proposito di sfiga: provate a nascondervi in un luogo dove c’è il sole pure a mezzanotte… Ad ogni modo, nel susseguirsi di avventure e fughe per la sopravvivenza, si insinua in Jon la questione della fede.
Intendiamoci: Jon è un uomo pragmatico che si trova in guai più grossi di lui. Eppure quando la coscienza si sveglia, nemmeno uno scaltro, pronto a tutto, riesce a ignorarla. Mi ha colpito un passaggio, che è a pagina 194:
Jon è in una chiesetta. Entra l'anziano prete. Jon, in piena crisi esistenziale, gli chiede se la fede sia un buon affare, se egli non dubiti mai:
“Certo che dubito!" Jakob Sara si sedette accanto a me con un sospiro "Per questo si chiama credere e non sapere.”
“Anche per un predicatore?”
“Soprattutto per un predicatore. Deve riesaminare il suo convincimento, ogni volta prima di predicare la parola, lo deve vagliare.”
Il prete si rivolge a Jon.
Ma, a ben guardare, potrei essere io. “RIESAMINARE IL SUO CONVINCIMENTO”… “prima di PREDICARE la parola”. Più di questo, come in tutte le questioni di fede, non solo spirituali ma relazionali e affettive, - e tocca a Nesbø, ex calciatore (scrauso), scrittore scandinavo (di successo), di gialli anch’essi scandinavi (di transizione), ricordarcelo - mi interpella la differenza tra sapere e credere.

La differenza tra ciò che accetti come vero e ciò che è vero. Differenza che sfugge perfino a chi ha sempre avuto un grande talento per la scrittura. O per la riscrittura. 

E' venuto Riina Jr, ma non è la fine.

domenica 20 marzo 2016

ENERGIA: da una libreria alla Libia

Libro: Energia per l'astronave Terra
Parole: fotovoltaico, commons, produmatore

Energia elettrica in libreria.

ANCHE A STAR FERMI CI SI STANCA, è proprio vero! La dissipazione è inevitabile. Anche a tenere aperto un negozio tranquillo come una libreria ci vuole parecchia energia. Io ci provo a risparmiare: tanto per cominciare non lavo, quindi non uso la caldaia. D’inverno, mi regolo con l’abbigliamento. Quando ho il turno di notte, tengo lo stesso le luci basse. 
Ma non dovrei. Anzi, la regola è: porte d’ingresso sempre aperte e ambiente luminoso.
E certo, eh! Ha una logica (di “marketing”).

Calorie alimentari in letteratura.

Dal Capitolo Sesto de “La Scopa del Sistema”, di D.F.Wallace:
"Portami nove bistecche, per favore."
"Vuole nove bistecche tutte in una volta?"
"Per favore."
La calorica richiesta è di Norman Bombardini, uno dei FOLLI personaggi di La scopa del Sistema, che con queste parole al ristorante dispiega la sua ingombranza sul romanzo. Norman ha una curiosa teoria esistenziale che accorpa in un tutt’uno consumismo, costume e dietologia, teoria per la quale lo cito qui. Per David Foster Wallace, l'autore, riunire in una pagina piacevole questi tre ambiti è un gioco da ragazzi, mentre per me sarebbe solo una acrobazia pericolosa. Perciò vado al punto alla svelta.
David fa dire a Norman:
“Io sono un grottesco […] famelico maiale. Un cibomane dalla capienza illimitata e decisamente facoltoso.” e poi “Stasera crescerò e crescerò, e con l’orrore della mia gelatinosa presenza colmerò l’assenza che mi circonda. Yin e Yang. In crescita costante!”
Mi fa già ridere l’idea di dare un nome come Norman all’uomo più abnorme della letteratura universale, che tenta di riempire una “assenza” ingurgitando carne e cioccolatini. Ma c’è poco da ridere! CI chiediamo: "Che funzione ha Mr. Bombardini?" Eh: e chi lo sa! L’autore del romanzo è morto e quindi siamo costretti a interpretare. Una possibile risposta è: “Me da un lato e tutto il resto dall’altro”. Un personaggio per parlare de L’io e l’Altro: ecco cosa caratterizza l’intero universo per ciascuno di noi. Sì, potrebbe essere questo. 

Mettiamo dei paletti: consumo ergo sum non è buono; l'obbligo di colmare i vuoti non è buono, anche se quando non sappiamo gestirli, preferiamo riempirli.
Io l’ho interpretata così: Norman è un invito a non temere il senso di vuoto e a cercare una “soluzione migliore”, anche scomoda, ed è anche una parodia di tutti quelli che credono di risolvere un malessere  comprando, possedendo o consumando. Wallace mi fa pensare che continuare ad alimentare singoli universi non sia poi una buona idea. Meglio accorgersi che si può far parte di un “Noi”. Possiamo fare molte cose stando insieme. 
Perfino produrre energia…
Si avvicina il referendum Anti-trivelle: il punto non è SI o NO, ma essere partecipativi in fatto di #politicheenergetiche. Le decisioni in campo energetico sono prese sopra alla mia testa, e ciò mi fa pensare di nuovo al “Sistema”. Possiamo informarci.
Il Sistema lavora per indurre il pubblico a sentire il bisogno di qualcosa che gli si può vendere; alimenta la voglia di “soddisfare continuamente” quel bisogno. Pare che il PIL debba per forza crescere, come Mr. Bombardini, all’infinito.
!?

Come è impossibile per il caro Norman espandersi fino a colmare i vuoti, così il mercato non può crescere all’infinito, e così pure gli idrocarburi non possono durare all’infinito. In tutte e tre le situazioni occorre distinguere il limite in tempo. Altrimenti ci saranno conflitti per le scorte di idrocarburi, i mercati e i prezzi delle merci impazziranno e, soprattutto, il buon Norman esploderà, con notevole spargimento di sangue e lardo.


Fonti energetiche in Natura. 

La Guerra del Golfo fu una “guerra fossile”, per il petrolio. Fatta, finita. Oggi si parla di intervento in Libia. Alt! 
Possiamo fare a meno della guerra e possiamo fare a meno del petrolio, a patto che impariamo a usare bene altre energie. E’ uno sforzo immane, lo so, ma ha i suoi risvolti positivi: ci sono materie prime ed energie il cui approvvigionamento non accende mischie, e io odio le mischie e la folla e la confusione, in generale. E voi, forza, indossate quel benedetto cappello solare!
Ho la sensazione che tra la gente ci sia una discreta intesa su questo: siamo tutti individualità interconnesse nella produzione e nel consumo di energia (i produmatori? produttori+consumatori?), e abbiamo nell'ecologia un'interesse davvero comune (si parla di commons, vedi J.Rifkin). Non a caso esistono già tanti libri sulle fonti energetiche.
Io mi sono letto un po' di roba (che trovi sotto al post) e mi sono convinto che Natura e umani instaurino un rapporto attraverso l’energia. E’ il concetto che mi viene in mente se penso a sintetizzare il libro Energia per l’astronave Terra. Che vi consiglio di leggere IN FRETTA, entro il 17 aprile. 280 pagine.
La natura approvvigiona costantemente tutti “Noi”. Essa non sa di farlo – d’altronde non ha coscienza – nè “Noi” ci accorgiamo che lo fa – eppure noi ce l’abbiamo, la coscienza. (?) 

Da quanto ne so, il primo principio della termodinamica è rimasto insuperato: l'energia presente nell'universo è costante, non si crea né si distrugge. Si trasforma. Ma allora non ci conviene smettere di dipendere da qualcosa che si trasforma in puzza, pm10 e in un piccolo vuoto nel “giacimento”?
Siccome gli idrocarburi si trovano solo in certi posti, per prenderseli c’è gente pronta a fare persino la guerra. Torno alla Libia, che ha gas e petrolio. Chissà cosa succederebbe se il petrolio non fosse tanto richiesto! Immaginiamo di acquisire un nuovo punto di vista. E con tutto quel sole, l’Africa...
Chissà che sfruttando quell’energia, presente su tutto il suolo, tutti i giorni… 
Ah, l’Africa, prima potenza solare del pianeta! Immagina tutta la gente dividersi il sole in pace (yu-uuu- u u u, you may say, I’m a dreamer…).

Le cellule energetiche domestiche.

Alcuni tra noi hanno già stabilito un rapporto migliore con la Natura, perché fanno parte della rete dell’energia rinnovabile solare, con impianti domestici. E la cosa veramente bella e che questo è loro consentito precisamente sfruttando la TECNICA. La Tecnologia = parola, verbo dell’artefatto, è stata usata sempre in buona fede, ma ha combinato anche dei guai. Scegliendo il fotovoltaico e l’energia eolica al posto di petrolio e compagnia bella possiamo riparare i danni. La tecnica per farlo c’è, e sappiamo gestirla. Dalla luce, ai volts, l’elettricità! Dal sole alla lampadina! Si può già fare, e chi lo fa è contento...
... Anche perchè Daitarn è suo amico! Ricorda: "Con l'aiuto del Sole, vincerò!"

Segnalo i non nuovissimi - ma perciò ecologici - volumi (freniamo la macerazione del Vecchio):
La Scelta: come possiamo risolvere la crisi climatica, Al Gore, 2009
La Terra è finita, Piero Bevilacqua, Laterza, 2006 e 2008
La società a costo marginale zero, Jeremy Rifkin, 2014 (grave)
Energia per l'astronave Terra, Armaroli e Balzani, 2011 e 2015 (lieve).
Reitero spudoratamente: La scopa del sistema, di D.F.Wallace e 24/7, di Crary, entrambi Einaudi ed entrambi sia gravi che lievi, contemporaneamente.

mercoledì 17 febbraio 2016

DAVID FOSTER WALLACE e l'autore/brand (The end of the tour)

parole: Sistema, intrattenimento, bisogno
libri: Infinite jest, La scopa del sistema, Come diventare sé stessi, Lamento di Portnoy, 24/7.


Vi piace correre? Grandi distanze, fasi diverse di fatica ed eccitazione, tempo per pensare. Se questo vi piace, è il momento di leggere Infinite Jest. 1400 pagine, una fatica epica con tanti ristori e una massa di emozioni diluite lungo il percorso. Ora c’è questo film al cinema, “The end of the tour”, che parla dell’autore di quel libro, di come viveva il grande successo di Infinite Jest. Ah, lui si chiamava David Foster Wallace, americano. Magari si riparlerà un po’ di lui, con la promozione eccetera.

È vero: tra librai si dice che la gente legge “l’autore”, non il romanzo. Nel mondo dell’editoria, l’autore è ciò che oggi si chiama BRAND. Per vendere più merce, il Sistema elabora e spinge un brand, un LOGO. 
Nel caso di Foster Wallace, anch’io, dal secondo libro, leggo l’autore; cerco gli ingredienti che mi sono piaciuti nel primo libro, e siccome poi lui è pure morto, mi è scattata una “devozione” all'autore come uomo. Se molta altra gente si comportasse come me? Se l’editore, o l’autore stesso, se ne accorgono, scatta l’operazione di marketing sull' Autore-Brand. I signori delle Case Editrici e gli artisti si organizzano per soddisfare il bisogno, e lavorano per indurre il pubblico a soddisfare continuamente quel bisogno. 
Il prodotto deve sedurre la gente. Nel successo dell’arte c’è sempre un contributo della Seduzione. Mi piace come concetto, ma ciò che voglio dire è altro: il pubblico fruitore e acquirente esiste a prescindere dai prodotti e dai produttori; a partire da questa esistenza, tutto ciò che si crea per essere proposto agli altri può diventare merce di scambio (lo è questo brano); è nato un modo per sfruttare questo bisogno di merce culturale. Qui chiamerò quel “modo” il Sistema. 
L’editoria è la scienza che trasforma i libri in merce; chi  crea libri può perfino essere disonesto senza temere nulla, ma se non ha il talento di comunicare e di suscitare, verrà defecato dal Sistema, avrà fallito. A quel punto la storia finisce. Stesso discorso vale per i librai: devono comunicare e suscitare, non soltanto vendere. Ma ecco il nesso con Foster Wallace: con lui mi pare sia stato fatto il tentativo di sfruttare la seduzione del personaggio. Il Sistema, senz’altro con garbo,  ha incluso l’autore in un meccanismo ricco di paradossi, a fine lecitamente mercantili. Pare che Lui abbia vissuto questa cosa – o la cosa simile che gli è comunque capitata, vedere il film – con forte travaglio. 

Sia la Critica che il film insistono sulle sofferenze di Wallace. "E’umano, è rock, è fico, ci si può identificare"… Ma pensare a queste faccende di marketing disturbava il mio leggere.
I libri di Foster Wallace, spesso pungolano efficacemente. Fai altrettanto presto a dire “che razza di esaltato!” oppure “ammazza, che bello!”. Meno immediata la reazione “questo mi sta fregando”. Impossibile l’indifferenza. Ci sono tante diversioni sospette, ma perfino in alcune di esse c’è il “raggio traente” alla Star Wars. Chi legge si sente coinvolto. E’ probabile, davvero. Come avviene? Be’, intanto a chi dice che bisogna essere come l’artista per emozionarci a ciò che egli fa io rispondo: stronzate! Avviene perché ti si sveglia un ricordo, ti arriva un aforisma, ti sembra utile leggere… 
Le parole di questo gigantesco yeti americano ti chiamano in causa, possono portarti da qualche parte: se questo non è ciò che cerchi, usa Infinite Jest per arrivare allo scaffale più in alto (potresti trovare Philip Roth). Volevo dire, puoi sentirti coinvolto da chi è l’opposto di te. Sia Bukowski che Dante possono coinvolgere lo stesso individuo, e non mi dilungherò anche su questo. Il punto è che – simili o differenti – autore e lettore instaurano una forma di relazione attraverso l’opera d’arte. Questo legame è fragile, e credo che il Sistema debba essere in grado di salvaguardarlo
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Nei libri che ho letto di Wallace io sento che, oltre alla seduzione – talvolta dispersiva - io sono oggetto di una provocazione. Guardate, ho letto tanta critica: pare che egli si credesse migliore del resto del mondo, o come minimo ultimo arrivato nel gruppo dei Primi. Un provocatore snob? Ok, ammettiamo che sia vero: perché non lasciamo stare l’individuo e ci concentriamo su cosa ha fatto? Lui ha ripetuto che non voleva essere “uno che ha dei fans”. Lui non voleva essere un brand. Ma noi vogliamo proprio identificarci, perché, oh è mooolto più emozionante! Insistiamo a volerci immedesimare. Bene, benissimo: andiamo a chiedere La scopa del Sistema al libraio e vediamo che succede!

"La Scopa"! (Tranquilli è solo una provocazione!)
La scopa del Sistema è il romanzo d’esordio di David Foster Wallace.
Trascrivo degli appunti che presi mentre leggevo quel romanzo: “Mi sento spesso tirato, stimolato. Questo è sentirsi coinvolti. E a me piace. Mi fa attivo. E’ intrattenimento? Sì; è commerciale? Certo, ma la cosa figa è che mi fa andare il cervello a mille.” Vi sembra che me la stia tirando da intellettuale? E chissenefrega. (E’ così, sì.)
Anche a me piace Die Hard, mi diverte; ma quello è un film che va subìto, e si potrebbe ammettere che l’immedesimazione nel personaggio di Bruce Willis è piuttosto illusoria. Finito il film, finisce tutto. Ci si sente vuoti! Invece una lettura difficoltosa, seppur vivace, come di Infinite Jest o anche de “La Scopa”, mi diverte e mi rende attivo, e “attivarmi” mi fa bene. Dura di più. Vi garantisco che è qualcosa di erotico!
L’immedesimazione è meno facile in, ad esempio Lenore Beadsman Jr (eroina de “La Scopa”), ma più realistica. L’abitudine a queste relazioni con prodotti culturali (non con il logo) potrebbe addirittura far bene alla collettività. L’industria dell’intrattenimento non deve accantonare la provocazione. Badare ai fatturati trascurando i contenuti può minare le basi del Sistema stesso. Chi investe nella cultura non può pensare di aumentare i margini all’infinito. Si elaborano schemi e poi si sfruttano al massimo, ripetendoli finché c’è da spremerne un quattrino (e un buon motivo per parlare di Foster Wallace è che lui non si è ripetuto).

Non è aprendo h24 cinema e librerie che si consoliderà l’industria dell’intrattenimento. Lasciateci dormire!
Su internet possiamo già comprare libri e film a qualsiasi ora: non rende migliore l’umanità.
L’autore ha parlato molto del Sistema d’intrattenimento americano. Davvero, molto! Non ne faccio un profeta, solo anticiparvi che:
- egli non scioglie l’ambiguità delle sue scelte decisive, che magari molte persone si aspettano di sciogliere grazie a una buona lettura, ma
- ha fatto in tempo a scrivere alcune battute acide contro il Sistema dell’Editoria.
Battute che sopravviveranno alle opinioni. Ad esempio, in “La Scopa”...
- pag. 67: leggerete che una truce segretaria zitella predice alle attraenti dipendenti della Vigourous Edizioni il fallimento della loro azienda, con questa formula: “Finirà che la vostra ditta fallisce. Una casa editrice a Cleveland, cose da pazzi.”

Perché non leggere David Foster Wallace allora? Anche se qualche amico potrebbe pensare che siete snob, o che vi atteggiate a nerd impostori, non vi preoccupate troppo! Con una lettura che vi piace, fareste uno shampoo ai vostri neuroni. E vi sentirete subito meglio.
Il Sistema, com’è oggi, in Italia, può danneggiare i libri, i librai e le librerie? Certo, è possibile. E’ stato grazie alla lettura di libri contemporanei (come ad esempio “24/7” di Crary) che ho pensato all’eventualità che il Sistema di cui faccio parte potesse finire, implodendo, facendosi male da dentro. Eppure non intendo far altro che stare nella corrente. Cosa c’è di male se l’intrattenimento è artificioso, studiato e pianificato? Su 10 libri degli autori top di oggi, quelli originali sono uno o due. C’è qualcosa di cattivo, a parte lo sperpero di energia e carta? No. Non cattivo, ma forse di sbagliato sì, e ci vedo dei rischi: disaffezione, noia, logorìo del pubblico – a danno della lettura, non dei prodotti culturali in genere. 

Il Sistema è occupato a saziare una fame fine a sé stessa. Quasi tutti quelli che ci lavorano, osservano con apatia il fenomeno. Penso a Mr. A. Portnoy, quello di “Lamento di Portnoy” (Philip Roth): impiegato pubblico a New York, dipartimento Discriminazione, è mio fratello gemello in ambito professionale. Dapprima mosso dalle migliori intenzioni, egli troppo presto si adatta al Sistema, e cerca pure una giustificazione. Ritiene che il proprio lavoro sia importante, come un baluardo di Civiltà. 
La spinta ideale sopravvive? O si è forse affievolita a vantaggio di un quieto vivere? Un nuovo patto prima con sé stesso e poi con il Sistema. Sembre reggere. Poi: dubbi. Va dallo psicologo. E’ una delle sue innumerevoli amanti, però, a inchiodarlo: “tu non sei il nemico del sistema. Tu non sei neppure una sfida al sistema, come hai l’aria di credere. Tu sei solo uno dei suoi poliziotti, un funzionario stipendiato, un complice. Scusami ma devo dirti la verità: credi di servire la giustizia, ma sei soltanto un lacchè della borghesia. Avete un sistema intrinsecamente crudele […] e la tua attività […] è fare apparire legittimo e morale tale sistema.” Finiremo tutti nel gorgo? Forse. Se si sminuisse, delimitandolo o ignorandolo, il fattore “autore”, il Sistema non funzionerebbe? Chi teme questo?

Prendiamo quella scopa: se anziché la spazzola, usassimo il manico, e ci rompessimo la gabbia di vetro? Creatività! Ognuno potrebbe essere la Scopa del Sistema.

 (la traduzione di La scopa del sistema che ho letto io è a cura di Sergio C. Perroni)