domenica 31 dicembre 2023

2023 anno del ritorno in Islanda: stavolta con Stefànsson

 

Libri: La tua assenza è tenebra.

Parole: contenerefemminismo, eredità, paralisi.

Il libro di cui parlo oggi, ultimo giorno dell'anno, me lo ha venduto un ragazzo sorridente che faceva un turno extra per la presentazione, serale, del volume, a Milano. Lui lavorava per la “Libreria di quartiere libri nuovi e usati”, sede in viale Piceno 1. 
Ci tengo al dettaglio della vendita perché il passaggio di anno fa pensare a cosa resterà, nel tempo, della bellezza di procurarsi una buona storia, agli acquisti a distanza e ai libri scritti e poi suggeriti da I.A.

La serata
Era la prima presentazione italiana di La tua assenza è tenebra, in una fresca serata metropolitana. Non avevo ancora mai incontrato Stefànsson, per me è stato un inizio e oggi chiudo un cerchio iniziato quel giorno: sono stato in Islanda a luglio, e il viaggio è avvenuto anche grazie alla forza della serata milanese. Viaggio bellissimo. Mi piace l'idea di scrivere, oggi, 1000 parole per pura gratitudine.

Le cover per opere di Stefànsson sono di Emiliano Ponzi

Pubblicato nel 2020 e giunto nel 2022 in Italia, il libro è molto amato da alcuni librai che conosco. In Francia lo hanno messo in cima a una classifica. Noi ne parliamo ormai da un anno. Alcuni di noi sono stati folgorati dall'autore, specialmente quelli che, per gusti e mestiere, frequentano poco il nord Europa. Io ammetto di essere sopraffatto da un mood che Stefànsson incarna perfettamente, che è proprio suo e di tante persone che ho incontrato in Islanda; si tratta... bah, difficile dirlo! Forse è semplicemente un approccio tranquillo al nostro tempo, un modo di starci dentro, una maniera che mi sembra vincente perchè non è competitiva, è pacifica, solidale. Sente, mi pare, le forze intangibili, alle quali gli esseri umani danno nomi diversi, e tra questi nomi ci sono spirito, fantasma, oblio, poesia e amore...

Al centro della sala c'erano due autori e una traduttrice dall’inglese, dolce e paziente. La traduttrice si prendeva le giuste licenze e aveva un ritmo che legava i due dialoganti: Stefànsson e Valerio Millefoglie.

Tutto attorno a noi: libri vecchi. Fermi, impolverati ma lontani dall’oblio, salvàti. Rimandare l’oblianza è una cosa buona; è una convinzione dell'autore che siamo venuti ad ascoltare.

Il libro

Alla fine del libro c’è una cosa originale e curiosa, la Playlist della Morte. Una parola così grande, morte, polarizza l'attenzione a fine volume. Perché? Non so rispondere, ma durante la lettura una sparuta comunità di persone dei Fiordi Occidentali invita la Morte a festeggiare. E questo c'entra con le canzoni della Morte: sono per essa. Mi è piaciuto scendere dentro a questo approccio con la morte, diverso dal mio; non era privo di tristezza, ma la accompagnava con la forza della vita, con la consapevolezza di esserci e di potere vivere. E di potersi perdonare un sacco di cose (vedere pag. 580!).

La musica è importantissima per Stefànsson. Negli ultimi libri essa c'è sempre. Jon ha voluto dirci questo: "penso che la musica sia utile a tutti noi, la ritengo uno strumento di convivenza, di pace, oltre a essere un modo di esprimersi come individuo. Io ascolto musica di generi diversi. Mio figlio suona hip hop: ho conosciuto grazie a lui molti musicisti hip hop che mi piacciono".

Sebbene le vicende e i personaggi siano legati, il libro è proprio un contenitore, qualcosa con cui tenere insieme e far collegare i personaggi e le storie. Nel post dell'anno scorso su Grande Come l'Universo c'era un concetto simile, e io dico che lo si ritrova anche in altri testi di Jon. Per cui, se ci piace leggere romanzi corali con personaggi stoici, magici e fragili, Stefànsson rappresenta una miniera d'oro. Quando i concetti tornano, sono visti da angolature sempre diverse. I libri di Jòn sono spesso asciutti come lessico, ma molto densi in fatto di scene e avvenimenti: si ha la sensazione che egli attinga da un grande, grande sacco di storie e di personaggi, e che scriva facendoli incontrare, divergere o collidere. Facile credergli quando confida che il libro ora sia diverso da come sembrava essere nelle fasi in cui iniziava a formarsi, nella sua mente.

Protagonismi

Una idea nata al principio di questo libro e sopravvissuta fino alla pubblicazione è il personaggio senza nome e senza memoria. Queste due caratteristiche sembrarono utili da subito a Jòn, ma poi, lui, ci ha impiegato 600 pagine – ha detto - per capire che cosa significassero. Questo personaggio è uno scrittore che si ritrova con la mente svuotata: quelle caratteristiche sono assenza di qualcosa. E danno inizio a un bisogno, quindi a una ricerca. Il Cercatore primordiale.

Se non hai ricordi, hai infinite possibilità.

Stefànsson ha voluto entrare dentro a un mondo che parte da capo: il personaggio non sa assolutamente niente di dove si trova, ma si sforza a rievocare e scrive, come l'autore, quello che in carne e ossa. Salva tante storie dall'oblio, e si lascia trasportare da quelle storie, mentre scrive. Il personaggio inventato prende appunti, leggiamo, in presenza di una figura misteriosa, senza identità – o con molte identità: un uomo evanescente che è autista, sacerdote, fantasma...

Quando gli si chiedeva perché scrivere romanzi in cui alcuni dettagli ritornano, Jòn ha detto una frase che mi sono segnato perché, semplicemente, spiegava sì, il suo motore di scrittura, ma mi diceva anche il motivo per cui leggo le sue opere. La frase è questa:

Voglio scrivere vera vita e farlo come è la vita. 

Voglio estrapolare un episodio per indicare la presenza dei temi di eredità, di senso di colpa e di paralisi delle decisioni, presenti nel libro. E’ tratto dalla prima storia d’amore, tra Agnes e Haraldur.

Haraldur è al cospetto del padre, Ari, mentre lavorano i loro campi, ed è intenzionato finalmente a chiedere di poter lasciare la fattoria per l’università. Crede di poter aver la felicità anche se, invece di fare sempre il fattore, studia e approfondisce una materia. Ari è attaccato alla propria terra; costui ha legato il figlio alla terra. Ma il figlio per lungo tempo ha desiderato una vita diversa, e lontana da quella terra, una vita nella quale trovare sè stesso. Il giovane vede suo padre vincolato, e si immagina libero da quei vincoli, catene alle quali si era consacrato il padre, un uomo serio e affidabile, stimato. Ari era soprannominato “l’uomo di ferro”. Haraldur vuole bene … ma gli deve dire che intende andare via. 

Ari muore proprio in quel momento, mentre Haraldur gli chiede il permesso di fare … la propria strada. Che non comincia. E così, io finisco.


Coppia di anziani dipinge casa ad Arnastapi


giovedì 30 novembre 2023

Questa rivoluzione non si può fermare. Parole di Simòne

Libro: Quando tutte le donne del mondo... 

Parole: #società #stipendi #violenza #collettivo

 Il libro di novembre è di Simon de Beauvoir e vorrei iniziare con una sua frase:

“le donne che hanno seguito le nostre orme si insediano nella mediocrità”. 

Le nostre di chi? Sono le orme delle femministe francesi come Simone, e le sue parole erano dirette alla generazione successiva, quella delle francesi degli Anni 60. Alcune donne che sono giunte fino a una professione impegnativa e a una retribuzione superiore si accontentano (pensano: “è già tanto per una donna!”). Oggi la De Beauvoir ci sta ripetendo che una corsa faticosa può arrestarsi senza sapere cosa c'è al traguardo. Nel suo articolo citava uno dei possibili motivi del rallentamento: negli Anni 30 per le donne una professione impegnativa e una retribuzione alta erano impossibili, negli Anni 60, invece, per molte donne che potrebbero proseguire la corsa è preferibile frenare, perché pensano che il livello raggiunto sia sufficiente ed è bene accontentarsi. Ecco quel “non esigere” che mi ha colpito molto, fortissimo. Perché mi ci rivedo. 

Istruzione e avanguardia: gli anni dell'anticonformismo

Fino al 1943, anno in cui le venne tolta la cattedra alla Sorbona per uno scandalo, la De Beauvoir aveva vissuto, in prima persona e a una velocità pazzesca, l'esperienza di superare i paletti presenti nella società in cui era cresciuta e nella quale voleva vivere (pur cambiandola in alcuni àmbiti). A soli 21 anni Simone era già insegnante, in quanto era risultata tra le più meritevoli studentesse di Francia. Aveva idee grandi e all'avanguardia, voleva realizzarle e voleva, a parere mio soprattutto desiderava questo, essere intensamente libera. 

Tutti noi abbiamo vissuto almeno un periodo simile nella nostra vita. Pochissimi hanno conservata la fiamma viva abbastanza a lungo da poter dire con tranquillità di essere stati davvero intensamente liberi. Quindi leggere la De Beauvoir non ha un solo buon motivo, che è quello, necessario oltre che eroico, di capire tante cose del Femminismo, ma ha senso anche per tentare la comprensione del conformismo di noi baby boomer.

Voglio dire che rileggere la Simone degli anni della maturità, dagli anni 50 in poi, ci ricorda quando "avevamo voglia" di essere liberi profondamente e ci spiega almeno due ragioni del nostro fallimento: non siamo forti quanto Simone de Beauvoir perché noi abbiamo paura di perdere quello che abbiamo (l'avverbio è per me, per molti e per molte) faticosamente costruito. "E' già tanto per noi" essere arrivati fino a qui. Lei era anticonformista e non aveva paura. Mentre leggevo le interviste presenti in questo volumetto (181 pagine in totale) mi domandavo: è diventata anticonformista perché non aveva paura? Non lo so, ma tra le due frasi preferisco il nesso causa-effetto della seconda. Perché il timore è un problema di oggi.

Considerando questi i casi sociali fi oggi, i nostri casi, si può declinare la frase "insediarsi nella mediocrità" in “non esigere troppo e non rischiare per migliorare una sufficienza che ci manda, in qualche modo, avanti”.  Questa declinazione possiamo calarla facilmente in un arco di tempo ben oltre il contemporaneo, facendo una chiacchierata coi nostri genitori: arriva alla gioventù dei nostri padri. Quando ero piccolo facevo poche domande, mi davo già allora tutte le risposte da sole (erano sbagliate, sì!) ma una volta chiesi a mio padre chi era Brigitte Bardot. Un po' ero curioso perchè l'avevo vista in tv, un po' ero curioso perchè questo nome ogni tanto i grandi lo dicevano come per fare un'esempio ("Aho, e mica sei Brigìbbardo!") Pensando alla Brigitte Bardot degli Anni 50 scrive un articolato brano che analizza il cinema dei maschi. Sì, so che non esiste una nicchia chiamata così. ma leggendo quel pezzo io capisco che Simone intendeva usare B.B. per mettere all'angolo i maschilisti francesi. Il brano uscì nei primi Anni 60, in inglese, e oggi apre il volume Quando tutte le donne del mondo, pubblicato nel 2019 in versione tascabile italiana. 

In quel breve saggio si parla più di un personaggio che di una persona. L'intellettuale francese analizza l'effetto di B.B. sul pubblico e non la biografia della giovane attrice di nome Brigitte Anne Marie Bardot. Ci spiega perchè registi e sceneggiatori hanno usato l'attrice per creare un personaggio di successo, e su cosa fecero leva. Ci accorgiamo di quante stelle polari abbia il bel mondo del cinema, che nei decenni ha mantenuto fede ai proficui insegnamenti dell'epoca di B.B. e Marylin Monroe.

Allora: ho iniziato con una frase di una celebre scrittrice, adesso tocca a me. Di fronte alla mediocrità, io che dico? 

Ho fatto questo come maschio di fronte alla rivoluzione femminile: insediarmi nella mediocrità. ho avuto sempre con me un rosario in cui ogni grano era un "e poi si vedrà". Che significa? che sono stato anti-maschilista ... fino a un certo punto. Ci tenevo che i miei figli avessero il mio cognome, ad esempio, li educo nel rispetto di tutte le persone - e del creato - e gli spiego, insieme a mia moglie, che tutti abbiamo gli stessi diritti, che tutti siamo uguali di fronte al lavoro e alla legge. E poi si vedrà

Da cinque o sei anni voto solo per candidate femmine, ma finora non ho mai raccolto firme perchè le liste elettorali siano composto dal 51% di donne. E poi si vedrà

Nel 2022, per parlare di libri, 1 su 4 dei libri che ho letto era di una donna, nel 2023 ogni 3 libri  letti, 1 è stato un libro di donna. E poi si vedrà

Questi esempi spiegano la mia mediocrità. Facciamo un esempio semplice? Leggere fa immaginare, leggere fa immedesimare. Poniamo che il nome per lo stato di cose della nostra società, in cui tanti, tantissimi maschi si sentono e sono "signori e padroni" sia Patriarcato. ok?

ok! bene: leggiamo libri scritti da donne per un paio d'anni di fila. Lo so che leggiamo i maschi senza nemmeno farci caso. Ma adesso proviamo a leggere dalle donne. E anzi, andiamo a vedere film a regia femminile. Per due anni. Questo dovremmo farlo. Vedremmo il mondo dal loro punto di vista e credo che sarebbe impossibile non imparare qualcosa.

io sono certo che vedere di più coi loro occhi e imparare cose nuove sul loro linguaggio ci farà bene e smusserà gli spigoli vivi e taglienti del patriarcato.

E vorrei dire una cosa che unisca una critica di de Beauvoir alle donne all'autocritica dei maschi adulti del 2023: 

Sono mediocre nel giocare la mia parte nella rivoluzione culturale e antropologica condotta dalle donne. 

Ci sono idee della de Beauvoir che non capisco ("la maternità è una schiavitù per la donne", detto da lei nel '72 e tradotto così da V. Dridso, o da B. Garufi, o da V. Nencini Baranelli nel volume che ho letto), ma la linea generale la sposo in pieno. Il libro contiene tanti temi che condivido e che vorrei si trasmettessero alla generazione dei nostri figli, così forse la mediocrità diverrà altro, una sufficienza piena che diverrà eccellenza. Non so cosa sia l'eccellenza nella questione dell'uscita dal patriarcato. So che così non si può andare avanti: che qualcuno di noi maschi deve schierarsi contro i limiti della società, contro la società in cui comunque vogliamo vivere. E viviamoci, ma non così. Le attenzioni che ho avuto finora io non bastano, e quelle che aggiungerò - ci proverò e CI STO provando: queste righe sono una uscita che mi impegna - di certo non basteranno perché la rivoluzione sia compiuta. 

Bisogna mettersi in discussione. Questo libro ti fa mettere in discussione. Quindi è un tassello utile. il quadro definitivo nessuno lo conosce, ma il quadro attuale deve cambiare!

La mia natura crede nel cambiamento. Nella mia immagine di cambiamento non c'è la violenza. Il cambiamento violento è da temere per le sue conseguenze nel medio e nel lungo periodo; io istintivamente favorisco ogni cambiamento che mi pare graduale, oltre che doveroso, mentre giudico troppo rischioso ogni cambiamento netto e rapido. La reazione esagerata e violenta. lo so che chi non risica non rosica, ma se mi metto a valutare freddamente il quadro, dall'esterno, vedo qualcosa che sarà utile a tutti e tutte: con una cesura vedo un peggioramento della condizione femminile, un peggioramento interamente imputabile ai maschi! Vedo un danno ulteriore, perpetrato dai maschi, se si compiono passaggi drastici. Bisogna agire, e nell'azione "usarci" gentilezza a vicenda. 

Io maschio quarantenne con reddito fisso e la mediocrità: altra riflessione.

Non esco da una zona grigia né per la piena luce ne per un buio placido, ho paura. Ho paura della forza maschile. Devo propagare i miei sensi nello spazio attorno così come è, e poi si vedrà. La fiducia che ho nel femminile mi ha portato a fare alcuni passi avanti e mi da le motivazioni per proseguire, con gradualità e consolidando ogni millimetro guadagnato. Sia verso la luce di una società visibile e vivibile che nel buio placido delle relazioni, con una donna e con le donne che incontrerò. MA ATTENZIONE: riconosco di non essere all'avanguardia! Io ho creduto, a lungo, di essere nettamente schierato dalla parte della parità di genere, invece ero solo nella retroguardia di questo enorme gruppo di persone favorevole all'emancipazione concreta delle donne (gruppo fatto da maschi, da femmine, ecc.).

Sono disposto fino a un certo punto, e poi si vedrà. Il “poi” è importante, ma il nocciolo della questione è accontentarsi della mediocrità. Ok, non è virile, non è nemmeno femminista, la De Beauvoir mi incenerirebbe col suo sguardo arguto. Ma è il mio modo e si giustifica con… tutto il resto. Valutando a cicche e spanne il resto io sento che non siamo pronti ad abbattere le convinzioni antropologiche maschiliste in vigore. Io credo che dovremmo puntare tutte/i su alcuni temi grandi, e concentrare lì ogni sforzo. Siccome non sono uno studioso del genere ma sono un tipo pragmatico, direi di puntare su due cose, solo 2, e basarsi sui numeri:

1) controllare le tabelle degli stipendi e uguagliare gli stipendi di uomini e donne. Questa frase deve essere una stella polare e poi, sotto la sua luce si potranno vedere mille dettagli. I dettagli verranno dopo, ora mettiamo mano ai grandi numeri. Io partirei dalla grana, e farei alla svelta - perchè la LORO IMPAZIENZA E' AMPIAMENTE GIUSTIFICATA!

2) elezioni a cariche pubbliche: imporre in Italia una regola sulle liste elettorali che somigli a questa.

Quando è stato raggiunto il 51 % dei nomi necessari a completare la lista con nomi di candidate donne, si può finalmente aprire quella lista anche ai maschi. Le elezioni si fanno con calma, non di corsa, e tutti sappiamo che alcune sono ogni 4 anni e altre ogni 5: si deve programmare. Vedo bene che ciò non comporta l'elezione di tante donne in modo automatica - e mi spiace - ma nella formula proposta trovo un passo avanti che si può facilmente consolidare nel giro di una generazione. Le donne si conquisteranno la fiducia, ma se non le si mette in lista... e qui le formazioni politiche di sinistra e di centro sinistra sono in grave ritardo!

Al Comune si presentano liste con 29 nomi? Quando avremo in lista 15 donne potremo andare a cercare i 14 nomi che mancano. bisogna solo far ruotare le altre regole elettorali intorno a questa. Si può fare. Si inizia ora: con le prime liste elettorali da fare per le quali non sia già iniziata la preparazione dei candidati. Ho detto preparazione apposta: chiunque si prepari svolgerà meglio il servizio.

Tu mi hai generato

La mia piccola storia di uomo che promana da generazioni familiari (generazioni che si sono educate e provano ancora a educarsi a vicenda, il che è un tassello della rivoluzione antropologica in corso in Italia). Non vedo lo spazio per un cambiamento drastico che sia pure incruento. Bisogna trovare la velocità giusta, ma questa rivoluzione non si deve fermare.

Se è per questo, non deve nemmeno rallentare. Noi uomini abbiamo già fatto troppi danni. Tocca a loro.

La professione è la mia media, il reddito (derivante da una professione, quella media, o mediana o mediocre secondo chi mi vuole artista o, più rozzamente, ricco) è la mia medietà, è ciò che mi fa fare quasi tutto quello che faccio. Poi, rimane un sacco di roba fuori dalla medietà. Esempio? Cerco letture fuori dalla media, fuori dalla top ten, fuori dalla moda.




sabato 30 settembre 2023

Tutto quello che è successo: Robertson "salva" l'America

Libro: Tutto quello che per poco non è successo (originale: The greatest thing that almost happened
Parole: contegno, pudore e crepacuore, #prestazione, #Midwest

Era giunto il momento di commentare l'ultimo tassello di una serie che amo molto, la serie di Morris Bird III scritta da Don Robertson tra il 1965 e il 1970. Questo è il romanzo di Don Robertson pubblicato in Italia da #nutrimenti nel 2022 grazie alla traduzione di Nicola Manuppelli, traduzione che fortunatamente per noi… è successa. E ne sta per arrivare un’altra, quest’anno! Ehi sono esclamativi per l’entusiasmo di quando la lettura ti scatena!
Il centro della faccenda è che la trama del romanzo è in bilico su tre cose importantissime che stanno per succedere a Morris Bird III.


Tre cose diverse e fondamentali che possono capitare a chiunque di noi. Tutte e tre in una parola: Passione. Il problema nel parlare di Robertson è che a Robertson ti ci affezioni subito. Lo Zio ideale, col quale chiacchieri volentieri, fai una passeggiata di pomeriggio d’estate, ti bevi un goccio. Il problema è se sai o no evitare di parteggiare senza critica. E un altro problema è aspettare il prossimo libro - anziché andare online e fare un ordine con spedizione gratuita di 5-6 chili dell’opera omnia dagli States. Ma quando puoi contare su Nicola Manuppelli, che tradurrà l’intera opera di Robertson perché dovresti imbarcarti in una lettura che ti rallenterebbe perché in una lingua che non è tua?). Manuppelli è autore, e scrive oltre a tradurre, e le sue traduzioni filano che è un piacere. C’ha la magia sulle dita ed è in sintonia con autori del calibro di Robertson, Guthrie, Dubus, e ovviamente il grande Chuck Kinder. La lettura è stata molto piacevole.
Il ragazzo Morris arrivò a capire il decoro, la grazia e tutto il resto. Come ci arrivò è lo scopo della trilogia a lui dedicata. Ci arrivò per esperienza diretta e perché stava attento agli altri. Da papà dico, azzardando, scoattando, che è stata la sua esperienza a fargli accendere le luci sugli altri. Penso alla nonna di Morris - conosciuta nei libri precedenti - tanto presente nei pensieri di Morris che cresce. E questo libro? Questo è la storia di come arrivò, il ragazzino, a diventare una “persona” adulta, rimanendo fondamentalmente inconsapevole dei propri pregi, e per questo santamente adulta.
Qui vediamo Morris attraversare i mesi decisivi della sua vita: freschi, pochi, ingrati.
Il decoro di una persona è oggi un tema da filosofi. Il decoro è relativo. Il lavoro chiesto a filosofi e pedagogisti oggi è dunque più utile che mai!
In effetti, però, se ne è occupato anche qualche romanziere. Ad esempio: Robertson.
Morris Bird III, orfano di madre, aveva un talento per la pallacanestro. La sua famiglia era originaria di Paradise Falls. Paradise Falls è una cittadina letteraria in cui succedono gli episodi del mondo immaginato da Don Robertson, un mondo dove aggiustare quello che non va nel mondo reale. Oh, Ok, questo può farvi pensare a un lieto fine. No. Non è così che funzionano i romanzi di Don Robertson. 
Spiace! (no, non è vero: sono belli così, senza lieto fine)

Morris bird III ha 17 anni ed è innamorato.
Ama Julie, e lei gli vuole bene. Però le cose tra loro non vanno come Morris desidera.
D’altra parte Morris sa bene che la natura della vita è il conflitto. Eh sì, dai. Le cose stanno così.
Questo ragazzo è fantastico quando da' queste prove di essere lui, semplice ragazzo americano, il più grande spettacolo del mondo. Se la vita è conflitto, è normale che l’amore sia litigherello, ed è naturale che Julie non faccia filare le cose lisce come Morris vorrebbe, vorrebbe tantissimo. Lui vorrebbe anche fare a meno di riappacificarsi, o stare lì a pensare, a rimuginare... Lui sente. Lui si è fatto già una certa idea di giusto e di sbagliato, ma non vorrebbe parlarne agli altri.
E’ la professoressa di lingua della sua classe che lo induce a esprimersi. Perfino su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, sissignore, niente di meno! E’ lei, la signorina Goldfarb, a fregarlo: lui non vorrebbe lasciarsi coinvolgere in conversazioni serie coi coetanei, figuriamoci sullo sbagliato e sul giusto, poi!

Non sarebbe stato male parlare anche dei due episodi precedenti della Trilogia, però ammetto che mentre li leggevo e me li godevo, ero più curioso di arrivare al termine che disposto a rischiare giudizi. Perché i finali di Robertson non sono prevedibili, non all' "americana". semmai sono neorealisti come i film di De Sica. Chissà che fine avrebbe fatto il giovanissimo Morris Bird III. Fosse stato uno scrittore italiano degni anni 50, sarebbe stato diverso: il finale realistico sarebbe stato probabile e il lieto fine improbabile. E Robertson è verista, ed è ironico, e unisce comicità e realismo nel destino “finale” di alcuni personaggi. Io, a Morris gli voglio bene da tre anni, non volevo sbilanciarmi, che poi magari il caro vecchi Robertson si scopre gli ha riservato una fine tragica (tutto questo perché non mi sono procurato Tutto Quello che per Poco non è Successo in versione original: lo farò, tutti dicono che Don scriveva da dio). 
Ed eccolo, il finale. Parlare di un libro che appartiene a una trilogia di cui si ignora l’epilogo ha senso se pensi al successo che sta avendo – tra il pubblico degli adulti – l’intrattenimento in salsa Serie-tv, che poi è una salsa che Robertson sapeva preparare: metti il piacere di ripescare le storie quotidiane, mettici la Storia con la S maiuscola (degli USA), mettici il saper narrare, i tanti personaggi e la creazione di un mondo. 

E' una poetica redimere la (le) vita (vite) con personaggi che si battono per un mondo che cambia continuamente? è una poetica fare romanzi storici, con ricostruzioni minuziose, per fare un backup del Paese che ami? non lo so. Robertson amava parlare dei buoni sentimenti, e ha creato personaggi prendendo tutti i connotati dalla vita vera di persone americane comuni, e ha fatto vivere loro vite comuni, molto coinvolgenti, in un mondo apposito, ma non in un mondo comodo e nemmeno su misura - ne per i personaggi, ne per la storia. 
Robertson ha creato Paradise Falls, e nel blog ci sono alcune gite in quella cittadina americana. E non ci sono critiche a Robertson. Ne allora ne ora. E tante grazie!

mercoledì 30 agosto 2023

Le Storie Brevi di Calvino spiegate da lui medesimo

Libri: Lezioni Americane, di Italo #Calvino Atlante Leggendario delle Strade d’Islanda (a cura di J.R. Hjàlmarsson)

Parole: viaggio, giro, leggendario, paesaggio, linguaggio

Leggere Italo Calvino nel 2023 è speciale: si partecipa a un rito collettivo, perché recentemente tanti lo leggono e parlano di lui per via del centenario. Questo libro raccoglie delle lezioni tenute da Calvino a Harvard negli anni 80. È un volumetto che oggi torna utile per chi si è accorto (!) che il modo di comunicare è molto più veloce di una decina di anni fa, e per chi si sente un po’ di disagio dato che ama andar piano.

In alcuni passaggi delle conferenze, e quindi anche del libro, Calvino fa sfoggio di auto-ironia, cosa che è sempre un dono per chi legge.

Era corteggiato dagli Stati Uniti, aveva successo, ma egli non invita affatto a essere Calvino! Fa capire, più modestamente, che una inziale lentezza può portare a risultanti efficaci e precisi.

Mi è venuto in mente Calvino perché mi servirà, appunto, il ritmo: arriva settembre… si ricomincia con la routine! Lui ha sempre un ritmo, e io trovo questo un tratto molto popolare, che aiuta a leggerlo. Poi dalla lettura è emerso un brano, corto, che oggi mi torna utile:

“Nella mia predilezione per l’avventura e la fiaba, cercavo sempre l’equivalente d’un’energia interiore, d’un movimento della mente. Ho puntato sull’immagine, e sul movimento che dall’immagine scaturisce naturalmente, pur sempre sapendo che non si può parlare di un risultato letterario finché questa corrente dell’immaginazione non è diventata parola. Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca di un’espressione necessaria, unica, densa e memorabile. È difficile continuare a tendere a questo in opere molto lunghe. D’altronde il mio temperamento mi porta a realizzarmi meglio in testi brevi: la mia opera è fatta in gran parte di short stories.”

Oggi i poeti rappano. Oggi chi punta sull’immagine crea reels e stories, coi fumetti attaccati sopra, per giunta.

Ho fatto di recente un viaggio con la famiglia in Islanda, e abbiamo usato come guida il libro Atlante leggendario delle strade d’Islanda. Raccoglie sessanta storie brevi in 212 pagine. Il viaggio si è sviluppato ricalcando la Strada Statale 1 che fa il giro dell’Islanda, esattamente come “tracciato” dall’Atlante Leggendario. É un volume pieno di immagini e favole tramandate dalla cultura di quel Paese spettacolare; ricorda Calvino per la breve durata dei brani, per l’energia interiore e per lo spirito fiabesco che emana. Spirito che ho ritrovato in alcuni autori islandesi, mescolato spesso con una certa precisione e concisione del linguaggio. Reykjavik, città di mare e di arte, mi pare un centro di gravità per tutto ciò che riguarda la gente d’Islanda, e capace di realizzare la sintesi di poesia e prosa che favorirà, sono sicuro, la salute di questo popolo. Durante il viaggio ho girato un po’ la città e mi piace condividere una mia, una nostra, esperienza.

La Statale 1 nei Fiordi Orientali

Per questa Capitale mi pare che la definizione migliore sia quella dei miei giovani compagni di viaggio: “molto bella”. Gli abitanti si siedono nei ristoranti in canottiera e sandali. I turisti si riconoscono dal vestiario: sembrano tutti montanari pronti per un’escursione imminente. La città è costellata da installazioni d’arte e da mini-mostre. C’è un museo del punk in un sottopassaggio di Bankastræti, 101 Reykjavík!

É una piccola, dinamica, bella città di mare (anzi “molto bella”), col cantiere navale, i palazzi più alti di tutto il Paese, i marchi globali. Un sole schietto. L’arietta che viene da nord. I gabbiani esagitati dal menù gratis.

Reykjavìk ha quattro librerie in centro. La mia preferita vende soprattutto musica e tratta solo in parte i libri. Si chiama con un numero, 12 Tònar, costringendomi, così a ricordarla per sempre come Dodici Toni.



 

Appena entrato ho visto un mucchio di libri di Stefànsson, addossati a una finestra; i titoli erano in islandese, a differenza di quelli presenti alla libreria Pennin Eymundsson (che li aveva in inglese); su quel davanzale c’erano SOLO libri di Stefànsson, e questo era curioso. Prima di domandarlo alla libraia, lei mi parla piano piano dicendo pressappoco questo: «il vulcano è appena eruttato, avete saputo?»

Come?

Ero intontito. Il nostro volo…

La libraia ha ripetuto adagio adagio: «… è iniziato appena venti minuti fa».

Tornato alla realtà ho ripreso a gironzolare tra gli scaffali e i cassettoni.

La libreria - discheria è calda. È su due piani. Quello superiore attraversa l’intero stabile, con luce da quattro lati: la cosa migliore per un luogo dove si vuole leggere; è stato il secondo luogo in città dove ho visto una grande (e “molto bella”) massa di vinili, come non ne vedevo da venti anni. Vendono anche pezzi di seconda mano. Si scende con una scala a chiocciola. Ho chiesto se si potesse scendere. Siamo scesi. Il piano di sotto è tinteggiato di blu marino, di bianco e di grigio. C’è un salotto, tre divani e tutto è tepore, perfino i cuscini IKEA; è come se ti si inviti a fermarti lì, in attesa. Di una ispirazione. O meglio: in cerca di una ispirazione: “molto bella”.

Parco nazionale Skaftafell, lungo la Statale 1, Islanda meridionale
 




lunedì 31 luglio 2023

Storia della Cina per principianti

Libro: Breve storia della Cina (originale: The Shortest History of China)

Parole: #Cina, #Pechino, #BRICS, #donne, #civiltà, #Xi

Linda Jaivin è una studiosa australiana che ha vissuto sia a Taiwan che ad HongKong.

Nel 2021 ha pubblicato un saggio che è la summa della sua conoscenza della Cina, fatta di un interesse quarantennale, di esperienza diretta (è traduttrice dal cinese) e di una visione ampia e profonda tanto della Storia quanto della Cultura cinese: Breve storia della Cina. Un libro che raccoglie con una linea cronologica comoda e magnetica oltre 3000 anni di civiltà cinese, e che in Italia è arrivato grazie all’Editore Bompiani (2022 euro 18). In una simpatica traduzione di Stefano Capello.



Il principiante sono io! Volevo la prima infarinatura sulla Cina, rompere finalmente gli indugi e affrontare questa Grande Muraglia. Ci sono tanti argomenti che sembrano aleggiare sulla tua testa pronti a cascarti addosso, e leggere è anche prepararsi agli impatti. La reputazione dell’autrice e la lettura delle prime due pagine mi hanno convinto a scegliere questo libro.

 

Le mie intenzioni:

- scoprire quello che i libri di scuola italiani omettono colpevolmente: la nascita e la fioritura di una potenza con cui oggi abbiamo a che fare tutti, tutti i giorni, in tutti i campi.

- conoscere il punto di vista di una donna in una questione che sembra "roba da uomini".

Questo è il libro giusto per partire? Non lo so, perché per me è il primo saggio sulla Cina...

Anche una bestia disabituata ai saggi come me, tuttavia, ha trovato la strada spianata per questa Lunga Marcia nella Cina! Grazie agli indici e ad alcuni accorgimenti della Jaivin.

Un accorgimento: molti protagonisti della storia cinese hanno volontariamente richiamato nel loro tempo fatti storici cinesi precedenti, e anche l’autrice ha fatto leva su questo tratto retorico ricorrente. Con un simile accorgimento leggere è più facile! Il lettore apprende e “ripassa” semplicemente procedendo nella lettura. Sembra noioso? Oh, non lo è: questo è un libro per persone curiose e intenzionate a capire qualcosa della Cina, e la Cina è un universo! La ripetizione di qualche data qua e là aiuta a tenere il filo. Ho amato i continui riferimenti ai grandi eventi storici che l’autrice ha disseminato nel volume, perché mi hanno dato un quadro di insieme. I nomi vengono scritti in forma dettagliata e anche con sinogrammi la prima volta che appaiono, e poi si usa il nome semplificato

La Jaivin usa piccole dosi di ironia e sceglie una rarefazione di aggettivi e giudizi che fa molto piacere al lettore imparziale. Oltre a rendere il suo stile riconoscibile.



Tenere insieme tutto il vasto Cielo: con le Donne

Dai primi Qin a Mao, da Deng a Xi, alla Cina non mancano i capi carismatici: nel libro sono riportati alcuni casi di citazione di eventi storici da parte dei leader,  in base all’interessi politico del momento; ognuno di noi ha un elenco di casi simili fuori dalla Cina, e se ancora non lo avessimo basterebbe leggere la pagina di politica internazionale domani. La questione si ripete e si ripeterà e saperlo, constatarlo con le testimonianze (in questo caso scritte da un’autrice credibile) dimostra per l’ennesima volta l’utilità dello studio della Storia. 

La Repubblica Popolare di Cina è una "federazione di fatto" con tanti tipi di legame tra le diverse componenti, e la Bandiera nazionale suggerisce a prima vista la compresenza di comunità pari: tutte splendenti come stelle, e legate da un "rapporto" accennato dalla distanza tra una stella e l’altra (le stelle sulla bandiera sono 5 grandi, nella bandiera degli Stati Uniti sono 50 piccole…)

I punti di forza di questo volume sono il procedere logico e la costante attenzione alla questione femminile. Ho avuto la sensazione di poter capire bene da dove viene il detto cinese “Le donne sorreggono metà del Cielo”. Al di là dei miei preconcetti – che erano tanti e  tutti piuttosto ridicoli – l’inserimento puntuale dei brani sulla situazione delle donne in Cina da' a chi legge una chiara idea del procedere della Storia. Tra alti e bassi, le donne in Cina hanno determinato fatti storici di primo piano, e in ogni epoca (potrei parlare di era, perché la storia cinese è immensa, ma sarebbe troppo iperbolico); personaggi eccezionali capaci di stare al potere. Non deve assolutamente guadagnare spazio l’opinione che le donne in Cina non abbiano fatto la Storia!

Taiwan, Macao e Hong Kong: cenni utili

I media italiani ci concedono ogni tanto notizie circa la diatriba tra Repubblica Popolare continentale e Taiwan. Questa vicenda ha origini passato remoto, come quella di Hong Kong e quella meno nota di Macao. Questo libro mi ha fatto capire quanto sia fuorviante basarsi sulle notizie fresche, quelle che ci rimbalzano sullo smartphone “lanciate” dalle agenzie! Il movimento che fa vibrare Cina e - soprattutto - Taiwan è nascosto, lento e carsico, ma è reso meno inafferrabile da questo agile e sorprendente volumetto.

sabato 31 dicembre 2022

Stefànsson: l'autore dell'anno

Libri: GRANDE COME L'UNIVERSO, La tua assenza è tenebra, Luce d'estate, Paradiso e inferno.

Parole: legàmi, eredità, scelte di comodo, coraggio, disoccupazione, scrittura curativa

Stefànsson è un autore che ha raggiunto il successo anche in Italia. Tuttavia la sua fama non è ancora all'altezza della sua bravura. Mi piacerebbe testimoniare i motivi del suo successo e fornire un testo breve in grado di convincere chiunque a farsi il regalo di leggere le sue opere.

Mi censurerò in quanto a durata del post, tanto ne seguiranno altri, perchè se Stefànsson è l'autore dell'anno 2022, c'è tutto il 2023 per parlare di lui. 

Questo romanzo si svolge in più periodi da inizio 900 a oggi, e le parti nel presente sono ambientate a Keflavìk. Un ex luogo, in cui abbondano solo la disoccupazione e il vento.

Il signor Ari lo conosciamo perchè viene descritto da una voce fuori campo. 

 

Lo scrittore e i suoi personaggi

E’ un cinquantenne in conflitto con sé stesso. Possedeva il talento della scrittura, e per un lungo periodo della vita l’attività di scrittore gli diede reddito e fama. 

Ha mollato: la vita da artista sostituita da una vita che considerava più comoda; qulcuno però non gli ha mai voltato le spalle. Ad esempio, il suo cugino preferito, Asmundur, che considera un faro, la persona a cui fare riferimento quando si sente confuso; di fatto Asmundur è co-protagonista di questa bella, possente saga islandese.

Ari ha una zia di nome Lilla, alla quale è molto legato, chissà perché: Lilla è una donna anziana che non da mai segno di accendersi per una passione. Nella sua vita, in tutto, ha scritto una poesia, e quella poesia è per la morte della sua adorata figlia: Làra. La scrittura...

Lilla subiva dal suo compagno accuse riguardo al proprio mal di cuore: “provi un dolore esagerato!” (per la perdita di Làra) le urlava. Tuttavia, gli è sopravvissuta. Serbando l'amore per Làra.

Lilla aveva un padre ubriacone. E due fratelli.



Ecco Ari in una frase, da post sintetico: “sembra che abbia offeso tutti”, in che modo? Smettendo di scrivere!

Jakob, padre di Ari, è protagonista della prima generazione in azione in questa bella, breve, saga familiare. E' un pescatore formidabile. 

E' uomo che tutti rispettano. E che qualcuno invidia.

Svavar è amico da trent'anni di Ari. E' pure vicino di casa di Snaefridur, donna emancipata di cui è innamorato. Non trova il coraggio di parlarle. Egli è uno dei tanti uomini che impallidiscono di fronte alle eroine create da Stefànsson.

La Matrigna di Ari appare solo in poche pagine. Un personaggio incredibile, che all'inizio viene chiamata La ragazza di Strandir. Strandir è la parola islandese per "spiaggia", e le spiagge d'Islanda sono quasi tutte nere. Sono molto amate dai pescatori. Pagine romantiche e piene di ribellione.

Ari, quando era giovanissimo –  quindi al tempo in cui molti lo chiamavano il Professore, proprio perché “scriveva” – lavorava nel comparto pesce, possedeva una Saab con cui scarrozzava la comitiva di alienati e sembrava destinato all'oblio. Poi brillò, poi lasciò spazio alle aspettative di altre persone, e finì per sposarsi, "con una danese", diventare padre, lavorare e, quindi, smarrirsi. Segue un certo schema, un certo programma di vita, se mi spiego bene, per non essere costretto a individuare il proprio, fa come se uno schema "consigliato" fosse certamente adatto a lui. Questo comportamento diviene più importante per Stefànsson nel suo libro La Tua Assenza è Tenebra, che ti consiglio di leggere presto, perché è fresco fresco. 

Tanti personaggi hanno la propria dignità sotto al cielo. I loro pensieri vari, ciascuno sotto alle stelle e sotto alle nuvole, ci servono tutti: ci fanno godere la lettura e, a volte, ci fanno riconoscere idee nostre. E quella volta comincia un'altra storia...

 

Lo scrittore e i suoi luoghi

Prendo come simbolo le parole di pag. 112: “le parole sono un vulcano, un magma che deve fuoriuscire”. Ci dicono molto: ci dicono che le caratteristiche geografiche dell’Islanda contaminano la scrittura di Stefànsson, ci dicono che questo libro è in parte autobiografico, dal momento che Stefànsson nel tour di presentazione del suo ultimo romanzo ha parlato di un periodo della sua vita in cui gli risultava impossibile evitare di scrivere. Fu da allora che decise di spendersi unicamente nella scrittura, lasciando la sua occupazione precedente; ci dicono che per l’autore è importante trasmettere il senso di liberazione e rappacificazione della scrittura, infatti queste parole riguardano il protagonista della storia. 

Se le parole non escono, fanno danno, dentro di noi; esse devono uscire.

Alla fine, questo è ciò che tiene “attivo” questo blog. Una lunga colonna piena di silenzi che assomiglia a un vulcano dormiente.

 

Testimoniare i benefici della Scrittura

Dal mese di maggio, la mia occupazione, ovvero il lavoro grazie al quale guadagno quanto mi basta, ha assorbito molto più tempo del previsto - per mie difficoltà, superate; questa è la scusa (la principale, ma non l’unica) che posso accampare per la latitanza. Non ho un pubblico a cui rispondere, e quindi siamo, se vuoi, nel campo della “testimonianza”. Ho però un messaggio: scrivere Fa Bene!

Non mi scuso perché non c’è nessuno con cui scusarsi, ma mi sento un po' in colpa. Trovo terapeutico scrivere (e pubblicare) il piccolo paradosso che ho vissuto quest'anno: aver dedicato tanto tempo a leggere ma avere tenuto il blog dormiente. Il vulcano è attivo, ma dorme. Scrivere richiede molto più tempo che leggere, e dato che il mio lavoro ha richiesto tanto tempo in più (tutto meritato! Se qualche collega legge: GRAZIE MAE, ti voglio bene!) non sono riuscito a scrivere quanto volevo. Ho sentito la mancanza della scrittura pubblicata: è sempre un brivido piacevole! 

 

Un distillato, del 2022

Eccovi manciate di parole per alcuni dei libri letti in questo anno, che in totale, sono stati 25:

1 Lo strano caso del dr Jekyll e mr Hyde: un giallo veloce e conturbante che dovrebbe essere letto da tutti coloro che abbiano compiuto 13 anni.

2 Canne al vento: Deledda colonna portante della nostra letteratura, personaggi forti, paesaggio vivo.

3 Metà di un sole giallo: il Biafra come specchio delle guerre contemporanee, gli intellettuali e la lotta di classe, quella vera, trasversale e universale.

4 La casa degli spiriti: Allende che dipinge, carica di incanto, un quadro ricchissimo eppure antico. Donne mediatrici tra una concretezza tutta maschile nei fatti sconfitta dai sentimenti, incarnati dalle sole donne per tutta la durata del romanzo, e l'irriducibile prevalenza di forze che non sono umane. Donne forti, donne diverse, donne che perdonano degli strupatori (mi riferisco alla giovane nipote Alba, che va da Esteban Trueba vecchissimo, rattrappito ma ancora impenitente, lei, donna violentata da uomini delle forze dell’ordine, che consola senza rimproveri suo nonno, stupratore).

5 Quando tutte le donne del mondo: antologia da S. De Beauvoir. Mi ha consentito di accettare di essermi installato nella mediocrità dopo la pandemia, come lei riferisce riguardo ad alcune donne degli anni 70, che dopo le lotte fatte da altre, si accontentavano senza portare avanti il discorso e l'azione (pag. 25 dell'edizione Einaudi Tascabili).

sabato 30 aprile 2022

Francesco Daveri, un piacentino indimenticabile


Libro: L'Avvocato di Dio

Parole: #fede #resistenza #antifascismo impegno

Qualche volta, a chi legge molto, càpita di scegliere la lettura come riparo dalla realtà.

La realtà più orribile, però, non lascia scampo. Solo i pazzi e gli ignoranti purissimi 100% ne restano fuori.

Nel corso del primo anno di pandemia io ho raddoppiato le pagine lette. Mi riparavo. Stavo molto meglio mentre leggevo, eppure non cambiavo una virgola dell’orribile realtà in cui ero immerso. Potevo però tentare di non pensarci. Vorrei essere lieve, ma non è periodo...

Leili Maria Kalamian ha scritto un romanzo che non lascia scampo, perché il suo L’avvocato di Dio porta il lettore nei luoghi della guerra civile italiana e al punto di non ritorno a cui essa ha condotto molti nostri concittadini: i campi di concentramento.

Io – parlo da consumatore – ho sempre avuto avversione per le iniziative librarie sul Giorno della Memoria, perché, a loro modo, si intromettevano su una tragedia e soprattutto perché le trovavo distratte e forzate. Sperando che qualcuno entrasse PER il Giorno della Memoria, si facevano vetrine PER il Giorno della Memoria. Mi chiedevo: ma incide? Ma è utile alla collettività? Ne dubitavo.

Perché? Perché le vetrine durano una settimana e poi si passa alla trovata successiva – che potrebbe essere il Carnevale o, che so, San Valentino. E le cose sono ben distinte, direi. Si passa in pochi giorni dalla campagna “Per non dimenticare” alla campagna “Se ami, dillo con un libro”. Queste cose servono a vendere i libri. A noi – a TUTTI noi - serve ALTRO. Ci serve che i libri su olocausto, guerra e barbarie simili VENGANO LETTI. E ci serve un’altra cosa: che quei libri vengano scritti. E scritti. E scritti ancora.

Che si faccia ricerca, e memoria, e ancora ricerca, e ancora memoria.

Perché? Perché i testimoni muoiono

 e perché l’essere umano è sopravvalutato.

Leili Maria Kalamian ha scritto un libro focalizzandosi sulla figura di Francesco Daveri, giovane avvocato piacentino morto prigioniero vicino a Mathausen a soli 42 anni.

Il lavoro di Leili è stato lungo e profondo. Posso scriverlo perché in corso d’opera (leggi: #pandemia) ci siamo sentiti. A un certo punto il tanto materiale ha preso forma e lei ha deciso di pubblicare, così, il suo primo romanzo. E ha fatto bene! Alla memoria di quell’uomo straordinario, a sua figlia, la signora Maria Pia Daveri, e ha fatto bene a tutti quelli che lo leggeranno. Perché è un bellissimo romanzo. Storico, per l’accuratezza, e fantastico, per la statura morale del protagonista, ma questi due aspetti insieme non fanno che la metà del valore del libro, perché Leili ha raccolto e pubblicato nello stesso volume anche le lettere di Daveri!

Lorenzo Bianchi, Emilio, Cecchino = tutti i nomi di un santo laico: Francesco Daveri. Un personaggio che merita di essere ricordato per quanto fortemente ha sperato. Era un uomo di azione, ma spinto da una speranza potente che veniva da un luogo lontano e misterioso. Era un uomo che ha avuto e SOPRATTUTTO dato speranza, non un capo facinoroso, ma un leader gentile. Rinunciò alla salvezza per essere utile all’Italia. Penso che sia utile oggi sentire questa fiducia, e ricordare chi si è impegnato per gli altri, soprattutto se subodoriamo, leggendo, che è stato tradito. Sarebbe stupido dire: “fidarsi è bene non fidarsi è meglio”: significa perdere di vista la posta in gioco. Mentre leggevo ho pensato “questo avvocatino è intelligente, sapeva di rischiare che qualcuno lo vendesse”.

Ci sono le lettere del fondo Berti tra compagni di lotta, lotta decisiva per la liberazione. Lettere da San Vittore, dove rimase fino al 16 gennaio del 1945. Tre mesi dopo morì nel Campo di Gusen II.

Sono lettere operative, e innamorate, forti e garbate nonostante le costrizioni e la stanchezza. Una di queste, per la moglie, contiene la confessione di una passione irrefrenabile: quella per… La politica! Daveri incarna l’eroismo politico: quanto è lontano quell’eroe dai nostri giorni? Quanto è lontano il mio spirito da quell’essere coraggioso e generoso? Tanto.

Una lontananza incalcolabile, che però questo libro, in modo misterioso, è riuscito a quantificare. Ho capito 2 cose nuove: a) che la politica non è filosofia, al massimo contiene della filosofia (come contiene altre funzioni), e b) che senza l’urgenza siamo tutti ciarlatani. Io stesso, proprio ora, starei scrivendo a vànvera se scrivessi per indicare, per additare ad altri una figura sfocata, persa nel lontano 1945. Ma questo libro ha rilanciato quella figura, la fa più prossima. È ora abbastanza vicina perché io mi ci possa specchiare e confrontare. E mi sta facendo riflettere. E non è parlare a vanvera. Perché NON ve la sto indicando. La sto guardando. Posso ascoltarla.

Per questo ringrazio la mia amica Leili.

Ha avuto memoria (tutto parte dai cimeli di suo nonno materno, Giuseppe Gardi).

Ha fatto ricerca (almeno 3 anni, ma potrei essere stato basso).

Ha scritto un nuovo libro (che vale due libri! Perché al romanzo seguono appendici preziose).

Il romanzo è avvincente e il suo radicamento nella storia mi impedisce di scrivere qui i passaggi che ho preferito. Verrebbe male. Ci sono civismo, tante fede, amore e sacrificio, ricostruiti con ritmo e assemblati con originalità per una trama che fila. Ci sono degli avanti indietro che vanno seguiti con una certa attenzione. Tuttavia, poche righe per tratteggiare i suoi estremi possono fargli onore “le scrivo”: vediamo... Cosa voleva l’avvocato Francesco Daveri dalla battaglia a cui si era consacrato? Che tra italiani e stranieri, sia i primi alleati tedeschi che i liberatori, e che tra italiani di Salò e il resto della popolazione nazionale non trovasse posto solo la giustizia, cui lui teneva molto, ma anche la misericordia.

“Anche Cecchino avrebbe voluto così: 

la misericordia per uscire dalla spirale di violenza.”

Con l’Appendice B Lettere (pagina 145) entriamo in un altro libro. La stessa storia viene “rianimata” da alcune lettere. Si tratta di documenti del 1944 e del 1945, consultabili nell’Archivio di Palazzo Farnese. Le lettere di Daveri a don Firmino Biffi sono tutte le mie preferite: in particolare quelle scritte quando Daveri si trovava in esilio, ed era quindi lontano da sua moglie, dai figli e dai suoi amici. E’ come interpretare dei bagliori di luce in un antro oscuro: Daveri sente di credere fortemente in quel che fa, e spiega a sé stesso il senso del sacrificio. Lo trovo molto incoraggiante e pedagogico. Sapeva di avere più probabilità di morire che di sopravvivere a quell’epoca violenta, ma anche con una possibilità avrebbe scelto di tentare. “io sono diverso, molto diverso, troppo diverso” diceva di sé (pag. 159, una pagina d’oro per chi vuole riflettere sul rapporto tra uomo e donna), pensando all’approccio alla vita, in particolare alle cose materiali.


Mi da l’idea di un uomo che comprende la posta in gioco e il valore della vita di un singolo. Ma a livello super-umano. A livello di eroe. Non un eroe che picchia, spara o si lancia in mischia: un campione che aiuta i compagni a dare il meglio di sé sapendo quanto è temibile l’avversario, e potente e spregiudicato. Un esempio che ti richiama al senso della vita. 
Chi è Daveri?

Un modello a cui guardare con tenerezza e gratitudine.