domenica 31 dicembre 2023

2023 anno del ritorno in Islanda: stavolta con Stefànsson

 

Libri: La tua assenza è tenebra.

Parole: contenerefemminismo, eredità, paralisi.

Il libro di cui parlo oggi, ultimo giorno dell'anno, me lo ha venduto un ragazzo sorridente che faceva un turno extra per la presentazione, serale, del volume, a Milano. Lui lavorava per la “Libreria di quartiere libri nuovi e usati”, sede in viale Piceno 1. 
Ci tengo al dettaglio della vendita perché il passaggio di anno fa pensare a cosa resterà, nel tempo, della bellezza di procurarsi una buona storia, agli acquisti a distanza e ai libri scritti e poi suggeriti da I.A.

La serata
Era la prima presentazione italiana di La tua assenza è tenebra, in una fresca serata metropolitana. Non avevo ancora mai incontrato Stefànsson, per me è stato un inizio e oggi chiudo un cerchio iniziato quel giorno: sono stato in Islanda a luglio, e il viaggio è avvenuto anche grazie alla forza della serata milanese. Viaggio bellissimo. Mi piace l'idea di scrivere, oggi, 1000 parole per pura gratitudine.

Le cover per opere di Stefànsson sono di Emiliano Ponzi

Pubblicato nel 2020 e giunto nel 2022 in Italia, il libro è molto amato da alcuni librai che conosco. In Francia lo hanno messo in cima a una classifica. Noi ne parliamo ormai da un anno. Alcuni di noi sono stati folgorati dall'autore, specialmente quelli che, per gusti e mestiere, frequentano poco il nord Europa. Io ammetto di essere sopraffatto da un mood che Stefànsson incarna perfettamente, che è proprio suo e di tante persone che ho incontrato in Islanda; si tratta... bah, difficile dirlo! Forse è semplicemente un approccio tranquillo al nostro tempo, un modo di starci dentro, una maniera che mi sembra vincente perchè non è competitiva, è pacifica, solidale. Sente, mi pare, le forze intangibili, alle quali gli esseri umani danno nomi diversi, e tra questi nomi ci sono spirito, fantasma, oblio, poesia e amore...

Al centro della sala c'erano due autori e una traduttrice dall’inglese, dolce e paziente. La traduttrice si prendeva le giuste licenze e aveva un ritmo che legava i due dialoganti: Stefànsson e Valerio Millefoglie.

Tutto attorno a noi: libri vecchi. Fermi, impolverati ma lontani dall’oblio, salvàti. Rimandare l’oblianza è una cosa buona; è una convinzione dell'autore che siamo venuti ad ascoltare.

Il libro

Alla fine del libro c’è una cosa originale e curiosa, la Playlist della Morte. Una parola così grande, morte, polarizza l'attenzione a fine volume. Perché? Non so rispondere, ma durante la lettura una sparuta comunità di persone dei Fiordi Occidentali invita la Morte a festeggiare. E questo c'entra con le canzoni della Morte: sono per essa. Mi è piaciuto scendere dentro a questo approccio con la morte, diverso dal mio; non era privo di tristezza, ma la accompagnava con la forza della vita, con la consapevolezza di esserci e di potere vivere. E di potersi perdonare un sacco di cose (vedere pag. 580!).

La musica è importantissima per Stefànsson. Negli ultimi libri essa c'è sempre. Jon ha voluto dirci questo: "penso che la musica sia utile a tutti noi, la ritengo uno strumento di convivenza, di pace, oltre a essere un modo di esprimersi come individuo. Io ascolto musica di generi diversi. Mio figlio suona hip hop: ho conosciuto grazie a lui molti musicisti hip hop che mi piacciono".

Sebbene le vicende e i personaggi siano legati, il libro è proprio un contenitore, qualcosa con cui tenere insieme e far collegare i personaggi e le storie. Nel post dell'anno scorso su Grande Come l'Universo c'era un concetto simile, e io dico che lo si ritrova anche in altri testi di Jon. Per cui, se ci piace leggere romanzi corali con personaggi stoici, magici e fragili, Stefànsson rappresenta una miniera d'oro. Quando i concetti tornano, sono visti da angolature sempre diverse. I libri di Jòn sono spesso asciutti come lessico, ma molto densi in fatto di scene e avvenimenti: si ha la sensazione che egli attinga da un grande, grande sacco di storie e di personaggi, e che scriva facendoli incontrare, divergere o collidere. Facile credergli quando confida che il libro ora sia diverso da come sembrava essere nelle fasi in cui iniziava a formarsi, nella sua mente.

Protagonismi

Una idea nata al principio di questo libro e sopravvissuta fino alla pubblicazione è il personaggio senza nome e senza memoria. Queste due caratteristiche sembrarono utili da subito a Jòn, ma poi, lui, ci ha impiegato 600 pagine – ha detto - per capire che cosa significassero. Questo personaggio è uno scrittore che si ritrova con la mente svuotata: quelle caratteristiche sono assenza di qualcosa. E danno inizio a un bisogno, quindi a una ricerca. Il Cercatore primordiale.

Se non hai ricordi, hai infinite possibilità.

Stefànsson ha voluto entrare dentro a un mondo che parte da capo: il personaggio non sa assolutamente niente di dove si trova, ma si sforza a rievocare e scrive, come l'autore, quello che in carne e ossa. Salva tante storie dall'oblio, e si lascia trasportare da quelle storie, mentre scrive. Il personaggio inventato prende appunti, leggiamo, in presenza di una figura misteriosa, senza identità – o con molte identità: un uomo evanescente che è autista, sacerdote, fantasma...

Quando gli si chiedeva perché scrivere romanzi in cui alcuni dettagli ritornano, Jòn ha detto una frase che mi sono segnato perché, semplicemente, spiegava sì, il suo motore di scrittura, ma mi diceva anche il motivo per cui leggo le sue opere. La frase è questa:

Voglio scrivere vera vita e farlo come è la vita. 

Voglio estrapolare un episodio per indicare la presenza dei temi di eredità, di senso di colpa e di paralisi delle decisioni, presenti nel libro. E’ tratto dalla prima storia d’amore, tra Agnes e Haraldur.

Haraldur è al cospetto del padre, Ari, mentre lavorano i loro campi, ed è intenzionato finalmente a chiedere di poter lasciare la fattoria per l’università. Crede di poter aver la felicità anche se, invece di fare sempre il fattore, studia e approfondisce una materia. Ari è attaccato alla propria terra; costui ha legato il figlio alla terra. Ma il figlio per lungo tempo ha desiderato una vita diversa, e lontana da quella terra, una vita nella quale trovare sè stesso. Il giovane vede suo padre vincolato, e si immagina libero da quei vincoli, catene alle quali si era consacrato il padre, un uomo serio e affidabile, stimato. Ari era soprannominato “l’uomo di ferro”. Haraldur vuole bene … ma gli deve dire che intende andare via. 

Ari muore proprio in quel momento, mentre Haraldur gli chiede il permesso di fare … la propria strada. Che non comincia. E così, io finisco.


Coppia di anziani dipinge casa ad Arnastapi