domenica 23 febbraio 2025

Il sergente in Russia. Rigoni Stern contro la follia

 Libro: il Sergente nella neve

Parole: giberna, coraggio, ritirata



Il libro di oggi riunisce due generi di letture che frequento. Uno dei generi è il libro sulla natura, l’altro genere è la biografia ambientata in precisi eventi storici.
Si tratta di Il sergente nella neve, il sergente è Mario Rigoni Stern, ed è un racconto biografico di un soldato di 22 anni, divenuto scrittore dopo la pubblicazione di questa opera, che è un qualcosa ben al di là del resoconto, del diario e anche dell’autobiografia. Questo è da notare perché in molti hanno sentito nominare Rigoni Stern ma pochi sanno che lui è diventato scrittore solo inseguito alla pubblicazione di questo libro e che per quanto lo riguardava, poteva benissimo continuare a lavorare nel commercio tra altipiano e valli, come faceva la famiglia Rigoni da generazioni (“Stern” è un soprannome in lingua locale, che poi la famiglia ha “integrato”).
Il sergente nella neve è un’opera d’arte, per me, in ragione del linguaggio misurato, della struttura e di alcune scelte fatte dall’autore. Ha una lunghezza di 115 pagine. Lunghezza militaresca.


La vicenda si sviluppa in Russia in pochi mesi tra il 1942 e il 1943. Inverno, questa stagione. Rigoni Stern era allora sergente maggiore degli alpini, e la sua squadra è la protagonista della storia. I nomi dei luoghi in questo post sono italianizzati per facilitare la lettura.
Il libro ha due parti: la prima parte narra la vita di un avamposto italo-tedesco sulle rive del Don, a Ukransca Builova, con uno svolgimento calmo che rende l’idea della vita in trincea, piena di nostalgia, e stupisce per la resistenza e per la reazione ognuno di quei giovani vitali in un luogo ostile alla vita, alla suspence.
La seconda parte è pura trance, si sta dentro alla battaglia di Nicolaevca, paese che ora è all’interno di Livenka. Qui si racconta con dettagli (anche crudi) l’episodio che vi ho detto ma anche la famosa ritirata, dei soldati italiani e di qualche tedesco, la ritirata dei miei nonni, delle persone nate negli anni 20; era il momento in cui si invertono le sorti della Seconda Guerra Mondiale in Europa. Un preciso evento storico.
L’autore parla con frequenza del paesaggio – non era un gran che.
Rievoca come in uno specchio deformato i paesaggi dei luoghi natii: era di Asiago. Lui si trova in piena pianura , innevata, vento gelido, ma ricorda le montagne, i contadini, i prati verdi, e sogna la fidanzata, le feste. Lo stesso fanno i suoi compagni. Nelle zone a ovest del Don in cui ci porta il libro già a novembre il termometro va anche al di sotto di -20°C. 


La pianura favorisce l’accelerazione del vento, e con i mezzi tecnici del 1942 era dura resistere, il freddo picchiava le truppe, rovinava il cibo e sabotava le perfino bombe arrivate dall’Italia.
Io sono rimasto molto colpito perché normalmente mi lamento del tempo che c’è qui, della mia vita di lavoratore, o da cittadino, libero... E sono rimasto colpito dal fatto che il Sergente Rigoni fosse un uomo così pacifico, profondamente. Nella sua postazione amava e praticava la calma, il rispetto e la buona compagnia, era il pastore del gruppo. E si ritrova:
 a lottare per mantenere la ragione. A dover trovare un coraggio che non conosceva.
Mi ci potrei trovare io, che sono pacifico? Follia. Coraggio. Saprei gestire un qualsiasi tipo di assedio?
E più di tutto mi colpisce questo: pure se i suoi sottoposti e i suoi superiori sono solo tratteggiati, ti ci affezioni; sia la loro vita sia il loro carattere stanno in poche frasi, non c’è epica, non c’è indagine, eppure si parte presto a fare il pronostico sulla loro sopravvivenza. E’ un libro popolare. Si innesta in cose che studiammo a scuola, poi, grazie a lui entri nei dettagli – davvero importanti i diari!, e con il linguaggio vedi le scene, le vedi abbastanza chiaramente da emozionarti.
Cita il caposaldo, la pesante, l’attrezzatura, la giberna -una specie di cintura di Batman. Ci sono il caporale Pintossi, il soldato Giuanin, Antonelli. Nomi che lui ha salvato, persone che durano. Perché ho voluto fare un’introduzione anche se il libro è popolare? Perché proprio ricordando il contesto, ci facciamo l’idea del pericolo appena iniziamo a leggere. Quindi leggerlo è un percorso: verso una sfida per la vita. Proprio così ti viene voglia di leggerlo e poi di farlo leggere. Questo per me è tentare di capire la guerra: ricordare sempre che è una sfida alla vita, e non si deve fare.



martedì 31 dicembre 2024

L'augurio: La gioia all'improvviso!

 Libri: La gioia, all’improvviso – In tutto c’è stata bellezza - Lincoln nel Bardo

Parole: famiglia – inquietudine – bontà naturale – misticismo - Lutto

L’autore è Manuel Vilas. Spagnolo. Tradotto in Italia solo recentemente, ha una discreta produzione in patria.

Anni fa presi il libro PER il suo “predecessore”: un errore diffuso. Allora non mi fece impazzire, ma aveva qualcosa di grande. Mi rimase impresso. Poi bo’. Stette lì.

L’ho riletto da poco, proprio per quell’impressione. Temi ripetuti, trascinati dal primo libro in Italia appunto, ma con forma nuova. La struttura ha una certa elaborazione. Composta prevalentemente attorno al tour di uno scrittore per il libro “predecessore”, libro che adoro: In tutto c’è stata bellezza (Guanda, gennaio 2019).

Per inquadrare la situazione

Alcune ripetizioni, ma nelle totali 400 pagine c’è tanta energia nuova. Forse è un po’ facile, perché si appoggia al successo dell’altro libro. Io non critico Vilas: cosa non fai per vendere? Alla mancata critica aggiungo però che solo chi non ripetendosi riesce bene è un genio, ogni volta. Chi riesce ogni volta è un genio. David Foster Wallace era un genio. Questo uso del chi è necessario quando l’argomento è una persona, ma questo post non parlerà dell’autore, bensì del suo bel libro La gioia, all’improvviso.

Questo libro è un romanzo, un romanzo con una trama breve e verosimile, ma non è certamente un racconto codardo e fuggitivo, non è un brodino. E’ impostato come biografia. Io lo ho letto senza conoscere l’autore – non ha una back-list lunga qui da noi – ma come curiosità, per alcuni temi presenti, temi tosti. Lui scrive di sé, ma a me il libro arriva piacevolmente come un alternarsi di flusso di coscienza e impegno a esplorare il lutto, la genitorialità, la professione artistica.

Chi scrive dice di essere codardo, per me però è un lottatore.

Non è un truffatore. Hai letto subito che è legato a UN ALTRO LIBRO. Culli una speranza: che Vilas faccia dei passi avanti nell’elaborazione del lutto per i suoi genitori, speri che leggendo tu possa dotarti di qualche strumento per questa materia. Sì, diciamo… per quando ne avrai bisogno, ecco. Con tutta calma. E, insomma, compri La gioia all’improvviso!



Un tema, o più di uno

Tema: io credo che per natura un figlio lasci il padre e ugualmente lascia la casa di suo padre. Continua ad amarlo - lasciare la casa non è in alcun modo legato al sentimento – e vive altrove. Si può anche restare a casa coi genitori, ma è naturale - e quindi valido, valevole, accettabile - lasciarla. Qui invece Vilas si inceppa sul fatto che i genitori non vadano lasciati. Un papà non deve smettere di vedere i figli. È un mammone. Per il suo pentimento? Per la sua vicenda, passata, desidera una sorte diversa con la compagnia del figlio? Sarebbe umano, voglio dire: comprensibile.

Un aspetto da “Dislike”: frasi come: “Tutto mi chiama” caratterizzano Vilas in entrambi i libri, ma, mm, per me è no.

Si fa troppe domande, si fa tutte le domande, rientra nel girone degli speculativi senza limite. Quindi: senza meta. Quindi: mediterranei all’eccesso. Ad esempio, si chiede: “perché mi succedono cose tanto belle?”

Queste frasi sono poetiche ma hanno una tara: cancellano un pezzo di quello che è stato letto fino a quel punto. D’altronde noi avevamo già capito che in tutto c’è stata bellezza. Perché rimettere in discussione questo caposaldo? Come movente legittimo potrebbe esserci questo: elencare il passato.

Molto bello il capitolo 72, perché pedagogico; mi è parso molto equilibrato, pieno di indulgenza, e saggio. Ci ho trovato una saggezza universale nel parlare di infanzia.

La salvezza presente nel libro In tutto c’è stata bellezza è pure in questo volume; la salvezza si chiama Alberto, tecnico della caldaia. Alberto è un uomo allegro. Il confronto con questo uomo in carne, ossa e buonumore è funzionale all’accensione del narratore. Alberto ripara Vilas. Ciò vale dire: Vilas si auto-ripara. Fantastico!

Io sono stato una persona allegra. Ultimamente sono giù e mi sento finire. L’allegria è la salvezza anche del libro, perché cambia i nomi dei personaggi e cambia marcia. Il libro converge verso un obiettivo chiaro: l’amore salva, giustifica e dà la vita. Questa volta, è la volta buona.

Oggi? Eh? E oggi, lo sono allegro?

È un giorno importantissimo, forse formalmente può ingannare, sembrando leggero – se non vuoto di significato, sembrando ripetitivo – almeno ogni 365 giorni, o sembrando sordo – se non egoista. E’ un giorno “ALLEGRO” esso stesso, in quanto il 31-12 si fa festa. Fino a prova contraria. Anche senza i botti (che siano maledetti, oltre che banditi).

Oggi, cosa posso portare sul banco di prova? Sono vivo è ho avuto una buona salute. Banale? Sì ma non scherzo. Vado verso l’età del protagonista di questo romanzo biografico, e negli ultimi giorni ho cercato, nella memoria e in un diario, gli aspetti positivi di questi ultimi anni, quelli successivi alla pandemia. Ho trovato qualcosa. È la reazione positiva della mia vitalità. Ho effettuato l’autoaiuto. Auto-riparazione.

Ha funzionato: ora ho una soluzione al rabbuiarmi istintivo che mi accade con le news. Il mio presente… il nostro… Io mi informo, lo ho fatto anche nel corso del 2024, con 2 anni di guerra europea in coda, più altre tragedie: come fai a stare allegro con quello che gira su Ansa, Studio Aperto, giornali online e compagnia bella?

 Ti stordisci… un piccolo effetto, lo fa.

“Chi vuole drogarsi, trova la SUA droga”.

Suggerisco la musica: funziona! L’immagine, migliaia di foto fino al caos: ottimo!

Altrimenti: il cinema.

Oppure: mangiare, ma questo ha i suoi effetti collaterali (colesterali, biliari, gastroesofagei).

Un lieto fine ci vuole

Il libro, infine, in seconda lettura, in questo anno qua, ha vinto; il mio scetticismo è sconfitto. Perché? per la capacità di scrittura dimostrata su un temi difficili: la perdita delle persone amate. Avrete sentito di Lincoln nel Bardo, di Ford? Lo hanno letto molti: nel romanzo il rapporto con gli spiriti era scritto in modo indiretto e funzionava per il lettore, come immedesimazione, come intrattenimento, distante e impersonale. In questo libro ogni pagina è personale. Impossibile seguire una biografia altrui passo passo, però nel mio caso (ripeto: nel 2024), cercavo un aiuto per la mia biografia e per i miei lutti. Dal 2019, ho perso diversi giovani amici e degli zii che mi erano molto cari. Ho pensato a Vilas come a un sostegno. Lo è stato, ho dovuto però porre una distanza tra la sua vicenda-storia, che è listata a lutto per i genitori e per l’amore non dimostrato, e i miei lutti prematuri e inspiegabili.

È stato di aiuto.

sabato 30 novembre 2024

Diario dei giorni senza vento

Libro: Diario dei giorni senza vento, di Fabio Boiardi

Parole: architettura - lucidità - archistar - melina

Questo libro è il primo romanzo di Fabio Boiardi, un architetto di Piacenza con una profonda sensibilità e una grande passione per l'arte. Il protagonista di questa opera prima è un uomo di mezza età che fa il mestiere di architetto, che è padre e che è compagno, e che fa i conti con sé stesso durante una lunga trasferta di lavoro. Un’occasione inattesa lo porta in una città lontana dalla sua famiglia, situata sull’oceano e soggetta a venti forti. Deve seguire un cantiere molto grande e complesso: la costruzione di un edificio all’avanguardia, uno spazio polifunzionale, laddove sorgevano tanti piccoli orti molto cari alla popolazione locale. 

Il nome della città non ci viene rivelato, ma quel che dobbiamo tenere a mente sono questi tre elementi: metropoli, oceano, vento.

Il protagonista sperimenta la lontananza da casa, la nostalgia, la complessità e il compromesso del rapporto con i colleghi e una situazione di demolizione ed esproprio, o quanto meno di sfratto, legata al cantiere del quale è responsabile.

Il libro contiene una trovata narrativa molto originale: leggendolo, immaginiamo di avere tra le mani non un libro ma il diario del cantiere edilizio, un registro, che è un documento tecnico, probabilmente dovuto nei cantieri ad alta complessità. Siamo dentro al mestiere del direttore di un cantiere. Ci si cala nella mente di un professionista che forgia gli spazi in cui viviamo. Il nostro protagonista è un esecutore, perché l'ideatore del progetto è un archistar. Questi aleggia in alcune pagine e si materializza in poche decisive righe, fatali per la trama e per l'efficacia stessa del romanzo.

Tutte le cose che esistono si basano su numeri, e l'architetto costruisce cose molto grandi. Sul retro della pagina "tecnica", quindi sul verso dei fogli del registro, l'architetto scrive pensieri e sentimenti. Unisce al dovere il SUO proprio essere, ed è un essere che scava, che è competente e convincente, a tratti preoccupante, per gli abissi in cui scruta. Amalgamare i numeri e i sentimenti del protagonista mi fa apprezzare molto la lettura, perché dà all'insieme un tocco di realismo; sul retro del diario del cantiere, l'uomo scrive di sé. Il lavoro non lo aliena. Se voglio fare un accostamento - che è forzato, a causa delle mie limitate conoscenze - dico che le pagine di verso ospitano un flusso di coscienza (e va bene, facciamolo questo accostamento alla letteratura americana! Kerouac non può offendersi). Amalgamare, ripeto, riesce facile grazie a una scrittura precisa.

Vediamo qualche dettaglio sul protagonista

L'architetto ha delle grandi responsabilità; egli è un razionalista, è logica, è concretezza ed è ansia di risposte. Possibilmente certe, preferibilmente matematiche. Le pagine personali (del protagonista, non dell’autore) sono troppo estese per rientrare sul verso (il retro) di una pagina. Le chiama note a margine. Lo sono, ma deve starci dentro la sua profondità di pensiero, la sua vita, per quanto riguarda chi tali note le legge. la gestione che l'architetto di questo registro, di questo librone, è completamente governabile. La situazione è sotto controllo. Però i testi personali, mano a mano, si allungano. All'inizio mi aspettavo la spiegazione della deroga: quando i brani personali diventano molto lunghi, come possono essere contenuti solo sul retro di una pagina di registro? E' la mia razionalità! Siamo a inizio libro è la sintonia con il personaggio non è ancora perfetta; mi aspetto che il protagonista, una mente matematica e sempre lucida, capisca che deve una spiegazione per note così lunghe, eccedenti lo spazio che si era rigorosamente ritagliato all’inizio dello scrivere. superata la metà del libro capisco che avevo sbagliato a esigere una spiegazione, e la sintonia con il racconto intimo è così lineare che anche la mia necessità razionale cessa, scappa via. E' stata cacciata dall'empatia per il personaggio. Voglio che egli scriva a lungo, che mi dica tutto, di sé e non del cantiere, che mi frega del cantiere? C'è in ballo ben altro! 

Tuttavia il potere dell'architettura è un connotato fondamentale del libro, che piacerà senza dubbio agli addetti ai lavori e agli amanti della materia. il protagonista usa l’architettura per ordinare l’esistenza, e la crescita del SUO edificio per raccontare l’architettura, la sua utilità per il genere umano.

Anche se il librone è grosso, una pagina recto non può limitare il corso dei pensieri che viene scritto sul verso. Inizia subito il contrasto tra la formalità del registro e l'estro-idea-indole. Il pensiero inarrestabile come l'oceano, il flusso dei pensieri. Il problema - non si intende con l'accezione negativa e "letteraria", bensì con la sola accezione "matematica" - di tutte le persone che non frenano il desiderio di conoscenza, ma che a tratti restano travolte dalla complessità di certe questioni. Da casa a lavoro sono circa venti chilometri che faccio in treno oppure in automobile, ok? A volte ascolto il radiogiornale mentre mi reco a lavoro, e vorrei tanto due ore prima di mettermi alla scrivania per sviluppare le notizie che ho sentito in 10 minuti. Ovviamente quelle due ore non le ho, e quindi tutte le mie idee evaporano, ma quelle due ore sono esattamente le righe eccedenti! Sono le note a margine. L'architetto-narratore si prende lo spazio su carta e il tempo per svolgere il filo dei pensieri, e per sviluppare ciò che sente. Il razionalismo stesso richiede libertà di movimento per assestare le proprie forme e per consolidare un significato. Un procedimento del genere può resistere al tempo e alla natura, e rende un edificio un ottimo edificio. 

Ci ritroviamo col sedere per terra, un po' confusi, a vedere il tornado che si allontana da noi. Non ne avevamo abbastanza per reggere a quella forza misteriosa. Siamo scampati, ci siamo ancora e riprenderemo il discorso.

Leggere questo libro

La trama è riconducibile ai recto, perché tengono la crono-storia del cantiere che è l’anima della narrazione, dal momento che senza cantiere non ci sarebbero ne impressioni né incontri né azioni. Nei verso riesco a immedesimarmi con grande frequenza, su scene ovviamente diverse, a volte solo su singoli motti morali. Lui è un uomo simile a me. È laggiù da solo, sembra che scrivendo cerchi una sorta di conversazione. Leggerlo ci indica il suo piacere per alcuni aspetti della solitudine. Una condizione umana, ne brutta ne bella a prescindere, ma sempre associata allo stare con sé stessi. Ed è una cosa che serve stare con noi, una cosa che solo sbadatamente possiamo dimenticare, una condizione da trovare secondo volontà - e non certo per coercizione. Leggere questo libro per me ha significato entrare nelle riflessioni di un altro e sentirne in parte mie oltre a prendere l'avvio per pensare a un tema, specialmente il tema oscuro presente, insieme a temi diversi e positivi, nel volume. 

Il nostro tempo, penso, ci impone di vivere momenti di solitudine, e di uscirne con idee un poco più chiare di prima. La composizione dovrebbe essere l'obiettivo dei momenti di solitudine. Il mondo è cosparso di pezzi, il mondo è strapieno di pezzi. Unirli e farli combaciare. Che impresa! distinguere le idee deve essere una cosa presente nei nostri elenchi. Le idee da tenere con noi, sì, e da portare nel nostro piccolo mondo, limitando il più possibile il condizionamento esterno. Il protagonista fa chiarezza su di sè in un contesto di solitudine: sta da solo anche se vive e lavora in una grande città che vibra sotto raffiche di vento, raffiche di vita, raffiche di comunicazioni e informazioni (lo stesso cantiere è pieno di informazioni). Il racconto è abitato anche da altri personaggi. Ciò non cancella la condizione di solitudine del pensoso protagonista. 

Il romanzo ha una identità definibile. È un sollievo: posso dire che è un romanzo, posso dire che l’architettura è il campo dell’azione, posso dire che parla di dinamiche relazionali di coppia, delle frustrazioni in ambienti di lavoro, che è condito di cultura contemporanea con schegge precipitate certo dall’architettura ma pure dalla pittura (Bacon), dal cinema, dalla letteratura (tanta) e che mi parla degli uomini della mia età. Ultimamente ho letto un sacco di "ibridi" perchè sia la narrativa che la saggistica stanno attraversando una fase di trasformazione in Italia. Non è un problema, ma ero stanco di sentire autori che a una normalissima presentazione di una loro opera si sforzavano di estrarre il libro da una casella o da un reparto: "sì, è finzione ma ci ho messo tanta di quella realtà che un saggio di economia sembrerebbe meno utile del MIO libro" - "è un saggio sul partito comunista cinese ma se non lo avessi scritto con sagacia da narratore chi lo avrebbe mai letto (comprato)?"


L' architetto è un appassionato di matematica. Non riesce a lavorare in quel settore e ripiega, spiegandoci alcuni bivi imboccati, sull’architettura. Che non è il suo mondo. Che sembra essere un ambiente competitivo e affollato; così lui durante una riunione ha una crisi. Panico. Gli toccava parlare, lo fa. Inizia a farlo, ma finisce per avere una perdita e si fa la pipì addosso. Si piscia sotto in pubblico. Segnale dalla sua mente, dal suo Io.

Sua moglie si chiama Ester: “l’ho persa” scrive. La loro storia non è finita, in questo momento sono lontani e lui guarda alla relazione da una certa distanza, quindi annota cosa di lei ha perso. Leggiamo i movimenti nella sua mente, il suo andare indietro nel tempo, ripercorriamo dei momenti della sua vicenda, che possiamo riconoscere o che sono solo evocativi di esperienze comuni: il rapporto con il lavoro, con il tempo, con le malattie. 

C’è un tentativo di ricerca di senso che supera la necessità, che supera l'indispensabile e non si accontenta, e appare quasi figlio delle circostanze (la SUA distanza da casa, il lavoro, il SUO tempo). Questo tentativo è come la nostra riflessione - è davvero possibile farla per chiunque - quando osserviamo la nostra quotidianità da un punto di vista nuovo. 

Per il protagonista la novità è il lavoro in trasferta, ma non è indispensabile mettere un volo aereo in mezzo alle nostre relazioni abituali. E' che questo guardare nuovo, questo spiarsi in un certo senso, ci è utile, è molto interessante da leggere, ci fa generare un'opinione sul personaggio, può consolidare il nostro pensiero e il nostro concreto stare al mondo. Ed è il bel regalo dello scrutare di questo architetto senza nome, che ci fa emozionare sul ciglio dell'abisso. Perché non teme l'abisso. Ha la curiosità di affrontare le questioni. E non è poco. E' un bel personaggio, contemporaneo in un modo assoluto

La signora Ana, frequentatrice degli orti che sono stati sfrattati per il cantiere, va a cercare il protagonista. Era in pena per lui, perché dopo aver seguito personalmente i lavori, egli sparisce. Lui si è appartato, temporaneamente. Una sconosciuta che in poche settimane si affeziona a lui. Un personaggio, Ana, che nasce nel corso della scrittura – ci viene rivelato durante una presentazione – e che rappresenta anche per questo motivo la vitalità, la possibilità. L'architetto era solo alla nascita di questo romanzo.

La visita dell’archistar K, un giro veloce al cantiere, una visione, l’idea e il cambio parziale di progetto: l'ordina va a farsi benedire! Creatività al potere - è proprio il caso di dirlo. Questa visita comporta la convocazione di una riunione, delle più temibili: una riunione Ple-na-ria, che è un passaggio importante dell'intreccio. La trama però non è il punto forte di questo libro, lo è la sua verticalità! La linea orizzontale della lettura è molto piacevole, e sembra il prodotto di uno scrittore versato - invece è la prima pubblicazione di Fabio Boiardi, in veste di romanziere. Il pregio n°. 1 è questo scendere e salire nella mente di un uomo comune, dalle ambizioni comuni, dallo status sociale abbastanza diffuso nella nostra società, una persona che ha studi universitari, ok, ma non in scuole d'elite. Un uomo comune che potrebbe vivere in un appartamento in periferia in qualsiasi città europea. non è la linea orizzontale che mi ha colpito, ma quel sali e scendi lungo la verticale delle riflessioni e dell'edificazione, effettiva, del progetto che è anche il progetto del libro. Quando non rinunciamo ad affrontare i problemi difficili che ci càpitano nella vita, tiriamo fuori le nostre risorse migliori. Siamo allettati dalla possibilità di lasciar correre le cose, di prendere solo il primo strato del vero, a fingere che ci sia una storia millenaria, e cromosomi che mutano lentamente. Preferiamo fare melina. ma ci sono altre tattiche. Questo romanzo ti fa dire: "ma io sto facendo melina?". Questo romanzo racconta di un uomo che si pone domande importanti, e questo è piacevole e ci fa sentire meno soli con le sfide, quelle serie, che sono già in corso nella nostra fortunatissima ma travagliata esistenza.

Mi spiego con questo esempio: se leggo “non riesco più tanto a dire il Vero” laddove invece sta scritto “Non esco più tanto, quasi per nulla a dire il vero” significa che mi sono scoperto a tradire la verità, devo ammettere il mio comportamento, e ora che lo ho ammesso vorrei redimermi. L’architetto deve modificare il lavoro svolto sino a quel momento, e sì che aveva seguito le indicazioni per filo e per segno. 

Questa è una metafora della mia vita.


giovedì 22 agosto 2024

La Vita accanto di donne messe alla prova

 
Libro: La vita accanto

Parole: femminilità, musica, colpa e Dio

Durante l'anno ho letto più del solito, Ho incontrato pagine favolose, ma anche libri deludenti, e non trovavo nulla di originale da dire. Bene, facciamo come se io avessi scritto con regolarità e adesso non dovessi raccontare altre che la mia ultima lettura:

Ho la sensazione che La Vita Accanto sia il libro giusto per me ora, a prescindere dal film uscito da poco. Visto il retro di copertina del volume Einaudi, prima edizione: “Dio non è un papà buono e presente, pronto a darti la sua mano”, dice Maria, la Signora triste che vive accanto. Questo suo pensiero è il mio sentire in reazione a ogni frase che suona più o meno così: "confida nella provvidenza" e che ascolto ogni tanto; poche pagine di lettura e ho trovato una frase di un'altra protagonista, Rebecca, che fa così: "una bambina brutta. Di certo non è figlia di Dio". Finora ho citato due protagoniste: madre e figlia. Ora tiro in ballo l'autrice, e in tal modo capirete perchè ho scelto di leggere questo libro. Scrive l’autrice a pag. 5: “Dio lontano e le preghiere…” L’autrice è teologa e con queste frasi mi da man forte in una causa che ho intentato contro Dio nel 2020. il "processo" sarà lungo, ma adesso non mi dilungherò.

Provo a inquadrare questo bel romanzo. È libro di donna, è libro di donne. Anche per questo è il libro giusto al momento giusto: sono nel pieno della ricerca del femminile, voglio partecipare all'avanzata delle donne nella società occidentale. Due case venete sono la scena di quasi tutta la vicenda. Sullo sfondo c’è il tema della depressione, un diaframma che ci frena dall’istinto e in teoria anche dal peccato. Sullo stesso piano: educazione, conformismo e pure l’anticonformismo che è incarnato da una Zia. Rebecca ha una zia eccezionale: Erminia, un personaggio laterale, ma che emerge dallo sfondo ed è definita con assai più dovizia rispetto al papà di Rebecca - che in effetti pare un uomo insulso quanto bello.

Rebecca, figlia della Signora triste e di un papà medico, ha un brutto aspetto, tale da far preoccupare i suoi genitori sin dalla nascita. Vive come incatenata. Leggiamo la sua liberazione.

La depressione frena la vita; in tanti romanzi grandiosi, come ad esempio I miserabili - nella Parte Prima, da pagina 32 dell’edizione Einaudi curata da Picchi - si trova questo tema: stacchiamoci dagli errori fatti e dal peccato per vivere bene, per "riprenderci" la nostra vita "davvero". Rebecca vuole che sua madre si stacchi dalla depressione. Ci pone nella condizione di incolpare sua madre per essere depressa. Interviene la trama, a scagionare Maria e ognuno di noi: la depressione stessa è una pulsione istintiva; anche la depressione è naturale. può perfino venire da Dio, così come possono venir da lui quelle che chiamiamo "le benedizioni". Un talento. La bellezza. La bontà. E così via.

Questo libro declina la depressione come il peccato di non vivere, perché il vivere accanto della madre fa male a Rebecca. Fa male a tutti: ma evitare questo è possibile? È sempre possibile uscirne con le proprie risorse? Fa male alla vita. Cosa ci ha insegnato la chiesa cattolica? che il peccato fa male alla vita, alla lunga la danneggia fino ad annichilirla. Allora la depressione è come il peccato - Maria è annichilita. In teoria fila. L'autrice ci porta qui, prima. Poi inizia un viaggio diverso. Nel quale anche chi legge può allargare lo sguardo.

Rebecca vede sua madre in questo stato frenato e fermo, e desidera più di tutto, più di diventare una bella bambina, un moto di reazione da mamma. Vuole che mamma si senta importante. Qui fa pensare alla Andrea, star televisiva, di Dieci donne di Marcela Serrano: un divertente campionario del femminile del 2011, di grande successo.

Zia Erminia, musicista, cosmopolita, è un'altra donna del romanzo. A lei si deve la versione attiva e forte delle donne messe alla prova. La zia ha un comportamento costruttivo, agisce da una distanza diversa di quella toccata ai genitori. Erminia è il simbolo di darsi valore e di provarci, ancora una volta. Si dedicava completamente a chi le stava davanti.

Non è finita: c’è un’altra donna ed è Maddalena, la prima governante, quella dell’infanzia di Rebecca; una donna adulta che poteva amarla, che ci riusciva. Una donna priva di istruzione ericca di sentimenti, una persona discreta e insieme affettuosa, senza scomporsi, accudisce Rebecca e custodisce i segreti. Lei riesce ad amare la bambina brutta perché è una donna con poche pretese, ed è umile? o perché viveva semplicemente? La risposta non è scritta nelle pagine, eppure la domanda ci verrà, per contrasti con altre protagoniste delle storia.

Con sua zia, Rebecca inizia a suonare il pianoforte. Per la bambina si apre una (insperata) stradina per attraversare il mondo. Nella narrazione irrompe il pericolo del conformismo: nella casa si discute del rischio di credere troppo nella musica, e finire delusi.

La Zia non teme! Sta a lei imporre la riflessione sulla capacità di "esserci per un'altra persona", mentre vediamo, simultaneamente, la madre di Rebecca incagliata in sé stessa, picconare il ruolo che c’è per antonomasia, quello della Madre.

La madre di Rebecca non può esserci, ma alcuni termini usati suggeriscono che intende non esserci: riceve amore, non lo restituisce, riceve parole, non risponde, riceve sguardi e non li ricambia. Non vuole: parlare, guardare. Questa donna triste si desta solo una volta: alla venuta del parroco. Sente un’intrusione, un rischio, possiamo immaginare. Il rischio massimo, il pericolo estremo. Quando Rebecca, col suo aspetto anomalo, la sua storia scritta fino a quel punto tutta sotto una campana di vetro, va a scuola, per tutta la casa si tratta di una svolta. E' allerta rossa! Oltre al meccanismo psicologico innescato dentro alla famiglia, l’ingresso a scuola fa partire anche un meccanismo sociale, fuori dalla zona di conforto casalinga. Non solo i genitori si preoccupano, tutti faranno delle considerazioni e saranno tutte sulla base dell’aspetto della bambina.

Fa pensare al legame tra figli e genitori

Ho visto il trailer del film tratto dal romanzo: al contrario del libro Rebecca ha una voglia sul viso e non è poi così orribile. Il cinema è fatto pure così: pazienza. Come sarà stare in classe con tanti difetti che i compagni vedranno? Chi ci sarà, chi è che arriverà? Di sicuro di punto in bianco arriva il prete. Il primo che va a bussare. Chiedendo che Rebecca vada a catechismo.  L’uomo vestito di nero: “se va a scuola, può venire pure in chiesa”. La madre: “No”. Punto.

La mamma sentiva la responsabilità della propria tristezza, la riconosceva; non era pazza.

Si sentiva madre, provava affetto e slanci, ma veniva sconfitta ogni volta tristezza. Sentiva la responsabilità di fare soffrire proprio sua figlia. Un genitore che legge può uscire dalla storia e immaginare se magari, nella realtà, qualcosa di simile gli può capitare. Io mi sono chiesto: questo stato di sconfitta certa di Maria, derivava da qualcuno?

Qualche pagina dopo, l’autrice scrive una risposta. Anche la risposta può essere portata dal libro alla realtà. Lascio la risposta alle righe che la descrivono. Il libro fa riflettere sulla Inadeguatezza. Sentirsi inadeguati, essere giudicati inadeguati. Opporsi come fa Zia Erminia all’inadeguatezza crescente dell’ambiente circostante. La capacità di adeguarsi all’ambiente fa bene quando intorno a te la società (che si fa giudice) è in declino?

Consideriamo ANCORA una FURBATA adattarci alla SOCIETA' quando essa è in DECLINO?

L’isolamento descritto in La Vita Accanto, sia di Rebecca che di sua madre, e le prove toccate alle altre donne, illustra una incompatibilità tra una persona e una collettività. nella quale vige una media, vale una sola moneta, l'immagine, e pesa una tara, il maschilismo.

Il padre di Rebecca interpreta il ruolo dell’uomo che si preoccupa e BASTA. Del passivo. Incarna teoria che si giustifica da sé risparmiandosi il rischio di qualsiasi ricaduta pratica. Veladiano pare volere definire il valore di quell’atteggiamento prudente e farcito di istruzione: esso è di grado “fatale”. Trovo bello che l’autrice assegni questo ruolo a un uomo meravigliosamente attraente, di buona famiglia e dotto. È uno scherzo ben riuscito!

Maschio italico 

Bello et Ricco e intelligente

 sbaglia l’amore!

Anch'egli, viveva accanto, a sua moglie, ma era solo un bel medico inutile.

 

domenica 31 dicembre 2023

2023 anno del ritorno in Islanda: stavolta con Stefànsson

 

Libri: La tua assenza è tenebra.

Parole: contenerefemminismo, eredità, paralisi.

Il libro di cui parlo oggi, ultimo giorno dell'anno, me lo ha venduto un ragazzo sorridente che faceva un turno extra per la presentazione, serale, del volume, a Milano. Lui lavorava per la “Libreria di quartiere libri nuovi e usati”, sede in viale Piceno 1. 
Ci tengo al dettaglio della vendita perché il passaggio di anno fa pensare a cosa resterà, nel tempo, della bellezza di procurarsi una buona storia, agli acquisti a distanza e ai libri scritti e poi suggeriti da I.A.

La serata
Era la prima presentazione italiana di La tua assenza è tenebra, in una fresca serata metropolitana. Non avevo ancora mai incontrato Stefànsson, per me è stato un inizio e oggi chiudo un cerchio iniziato quel giorno: sono stato in Islanda a luglio, e il viaggio è avvenuto anche grazie alla forza della serata milanese. Viaggio bellissimo. Mi piace l'idea di scrivere, oggi, 1000 parole per pura gratitudine.

Le cover per opere di Stefànsson sono di Emiliano Ponzi

Pubblicato nel 2020 e giunto nel 2022 in Italia, il libro è molto amato da alcuni librai che conosco. In Francia lo hanno messo in cima a una classifica. Noi ne parliamo ormai da un anno. Alcuni di noi sono stati folgorati dall'autore, specialmente quelli che, per gusti e mestiere, frequentano poco il nord Europa. Io ammetto di essere sopraffatto da un mood che Stefànsson incarna perfettamente, che è proprio suo e di tante persone che ho incontrato in Islanda; si tratta... bah, difficile dirlo! Forse è semplicemente un approccio tranquillo al nostro tempo, un modo di starci dentro, una maniera che mi sembra vincente perchè non è competitiva, è pacifica, solidale. Sente, mi pare, le forze intangibili, alle quali gli esseri umani danno nomi diversi, e tra questi nomi ci sono spirito, fantasma, oblio, poesia e amore...

Al centro della sala c'erano due autori e una traduttrice dall’inglese, dolce e paziente. La traduttrice si prendeva le giuste licenze e aveva un ritmo che legava i due dialoganti: Stefànsson e Valerio Millefoglie.

Tutto attorno a noi: libri vecchi. Fermi, impolverati ma lontani dall’oblio, salvàti. Rimandare l’oblianza è una cosa buona; è una convinzione dell'autore che siamo venuti ad ascoltare.

Il libro

Alla fine del libro c’è una cosa originale e curiosa, la Playlist della Morte. Una parola così grande, morte, polarizza l'attenzione a fine volume. Perché? Non so rispondere, ma durante la lettura una sparuta comunità di persone dei Fiordi Occidentali invita la Morte a festeggiare. E questo c'entra con le canzoni della Morte: sono per essa. Mi è piaciuto scendere dentro a questo approccio con la morte, diverso dal mio; non era privo di tristezza, ma la accompagnava con la forza della vita, con la consapevolezza di esserci e di potere vivere. E di potersi perdonare un sacco di cose (vedere pag. 580!).

La musica è importantissima per Stefànsson. Negli ultimi libri essa c'è sempre. Jon ha voluto dirci questo: "penso che la musica sia utile a tutti noi, la ritengo uno strumento di convivenza, di pace, oltre a essere un modo di esprimersi come individuo. Io ascolto musica di generi diversi. Mio figlio suona hip hop: ho conosciuto grazie a lui molti musicisti hip hop che mi piacciono".

Sebbene le vicende e i personaggi siano legati, il libro è proprio un contenitore, qualcosa con cui tenere insieme e far collegare i personaggi e le storie. Nel post dell'anno scorso su Grande Come l'Universo c'era un concetto simile, e io dico che lo si ritrova anche in altri testi di Jon. Per cui, se ci piace leggere romanzi corali con personaggi stoici, magici e fragili, Stefànsson rappresenta una miniera d'oro. Quando i concetti tornano, sono visti da angolature sempre diverse. I libri di Jòn sono spesso asciutti come lessico, ma molto densi in fatto di scene e avvenimenti: si ha la sensazione che egli attinga da un grande, grande sacco di storie e di personaggi, e che scriva facendoli incontrare, divergere o collidere. Facile credergli quando confida che il libro ora sia diverso da come sembrava essere nelle fasi in cui iniziava a formarsi, nella sua mente.

Protagonismi

Una idea nata al principio di questo libro e sopravvissuta fino alla pubblicazione è il personaggio senza nome e senza memoria. Queste due caratteristiche sembrarono utili da subito a Jòn, ma poi, lui, ci ha impiegato 600 pagine – ha detto - per capire che cosa significassero. Questo personaggio è uno scrittore che si ritrova con la mente svuotata: quelle caratteristiche sono assenza di qualcosa. E danno inizio a un bisogno, quindi a una ricerca. Il Cercatore primordiale.

Se non hai ricordi, hai infinite possibilità.

Stefànsson ha voluto entrare dentro a un mondo che parte da capo: il personaggio non sa assolutamente niente di dove si trova, ma si sforza a rievocare e scrive, come l'autore, quello che in carne e ossa. Salva tante storie dall'oblio, e si lascia trasportare da quelle storie, mentre scrive. Il personaggio inventato prende appunti, leggiamo, in presenza di una figura misteriosa, senza identità – o con molte identità: un uomo evanescente che è autista, sacerdote, fantasma...

Quando gli si chiedeva perché scrivere romanzi in cui alcuni dettagli ritornano, Jòn ha detto una frase che mi sono segnato perché, semplicemente, spiegava sì, il suo motore di scrittura, ma mi diceva anche il motivo per cui leggo le sue opere. La frase è questa:

Voglio scrivere vera vita e farlo come è la vita. 

Voglio estrapolare un episodio per indicare la presenza dei temi di eredità, di senso di colpa e di paralisi delle decisioni, presenti nel libro. E’ tratto dalla prima storia d’amore, tra Agnes e Haraldur.

Haraldur è al cospetto del padre, Ari, mentre lavorano i loro campi, ed è intenzionato finalmente a chiedere di poter lasciare la fattoria per l’università. Crede di poter aver la felicità anche se, invece di fare sempre il fattore, studia e approfondisce una materia. Ari è attaccato alla propria terra; costui ha legato il figlio alla terra. Ma il figlio per lungo tempo ha desiderato una vita diversa, e lontana da quella terra, una vita nella quale trovare sè stesso. Il giovane vede suo padre vincolato, e si immagina libero da quei vincoli, catene alle quali si era consacrato il padre, un uomo serio e affidabile, stimato. Ari era soprannominato “l’uomo di ferro”. Haraldur vuole bene … ma gli deve dire che intende andare via. 

Ari muore proprio in quel momento, mentre Haraldur gli chiede il permesso di fare … la propria strada. Che non comincia. E così, io finisco.


Coppia di anziani dipinge casa ad Arnastapi


giovedì 30 novembre 2023

Questa rivoluzione non si può fermare. Parole di Simòne

Libro: Quando tutte le donne del mondo... 

Parole: #società #stipendi #violenza #collettivo

 Il libro di novembre è di Simon de Beauvoir e vorrei iniziare con una sua frase:

“le donne che hanno seguito le nostre orme si insediano nella mediocrità”. 

Le nostre di chi? Sono le orme delle femministe francesi come Simone, e le sue parole erano dirette alla generazione successiva, quella delle francesi degli Anni 60. Alcune donne che sono giunte fino a una professione impegnativa e a una retribuzione superiore si accontentano (pensano: “è già tanto per una donna!”). Oggi la De Beauvoir ci sta ripetendo che una corsa faticosa può arrestarsi senza sapere cosa c'è al traguardo. Nel suo articolo citava uno dei possibili motivi del rallentamento: negli Anni 30 per le donne una professione impegnativa e una retribuzione alta erano impossibili, negli Anni 60, invece, per molte donne che potrebbero proseguire la corsa è preferibile frenare, perché pensano che il livello raggiunto sia sufficiente ed è bene accontentarsi. Ecco quel “non esigere” che mi ha colpito molto, fortissimo. Perché mi ci rivedo. 

Istruzione e avanguardia: gli anni dell'anticonformismo

Fino al 1943, anno in cui le venne tolta la cattedra alla Sorbona per uno scandalo, la De Beauvoir aveva vissuto, in prima persona e a una velocità pazzesca, l'esperienza di superare i paletti presenti nella società in cui era cresciuta e nella quale voleva vivere (pur cambiandola in alcuni àmbiti). A soli 21 anni Simone era già insegnante, in quanto era risultata tra le più meritevoli studentesse di Francia. Aveva idee grandi e all'avanguardia, voleva realizzarle e voleva, a parere mio soprattutto desiderava questo, essere intensamente libera. 

Tutti noi abbiamo vissuto almeno un periodo simile nella nostra vita. Pochissimi hanno conservata la fiamma viva abbastanza a lungo da poter dire con tranquillità di essere stati davvero intensamente liberi. Quindi leggere la De Beauvoir non ha un solo buon motivo, che è quello, necessario oltre che eroico, di capire tante cose del Femminismo, ma ha senso anche per tentare la comprensione del conformismo di noi baby boomer.

Voglio dire che rileggere la Simone degli anni della maturità, dagli anni 50 in poi, ci ricorda quando "avevamo voglia" di essere liberi profondamente e ci spiega almeno due ragioni del nostro fallimento: non siamo forti quanto Simone de Beauvoir perché noi abbiamo paura di perdere quello che abbiamo (l'avverbio è per me, per molti e per molte) faticosamente costruito. "E' già tanto per noi" essere arrivati fino a qui. Lei era anticonformista e non aveva paura. Mentre leggevo le interviste presenti in questo volumetto (181 pagine in totale) mi domandavo: è diventata anticonformista perché non aveva paura? Non lo so, ma tra le due frasi preferisco il nesso causa-effetto della seconda. Perché il timore è un problema di oggi.

Considerando questi i casi sociali fi oggi, i nostri casi, si può declinare la frase "insediarsi nella mediocrità" in “non esigere troppo e non rischiare per migliorare una sufficienza che ci manda, in qualche modo, avanti”.  Questa declinazione possiamo calarla facilmente in un arco di tempo ben oltre il contemporaneo, facendo una chiacchierata coi nostri genitori: arriva alla gioventù dei nostri padri. Quando ero piccolo facevo poche domande, mi davo già allora tutte le risposte da sole (erano sbagliate, sì!) ma una volta chiesi a mio padre chi era Brigitte Bardot. Un po' ero curioso perchè l'avevo vista in tv, un po' ero curioso perchè questo nome ogni tanto i grandi lo dicevano come per fare un'esempio ("Aho, e mica sei Brigìbbardo!") Pensando alla Brigitte Bardot degli Anni 50 scrive un articolato brano che analizza il cinema dei maschi. Sì, so che non esiste una nicchia chiamata così. ma leggendo quel pezzo io capisco che Simone intendeva usare B.B. per mettere all'angolo i maschilisti francesi. Il brano uscì nei primi Anni 60, in inglese, e oggi apre il volume Quando tutte le donne del mondo, pubblicato nel 2019 in versione tascabile italiana. 

In quel breve saggio si parla più di un personaggio che di una persona. L'intellettuale francese analizza l'effetto di B.B. sul pubblico e non la biografia della giovane attrice di nome Brigitte Anne Marie Bardot. Ci spiega perchè registi e sceneggiatori hanno usato l'attrice per creare un personaggio di successo, e su cosa fecero leva. Ci accorgiamo di quante stelle polari abbia il bel mondo del cinema, che nei decenni ha mantenuto fede ai proficui insegnamenti dell'epoca di B.B. e Marylin Monroe.

Allora: ho iniziato con una frase di una celebre scrittrice, adesso tocca a me. Di fronte alla mediocrità, io che dico? 

Ho fatto questo come maschio di fronte alla rivoluzione femminile: insediarmi nella mediocrità. ho avuto sempre con me un rosario in cui ogni grano era un "e poi si vedrà". Che significa? che sono stato anti-maschilista ... fino a un certo punto. Ci tenevo che i miei figli avessero il mio cognome, ad esempio, li educo nel rispetto di tutte le persone - e del creato - e gli spiego, insieme a mia moglie, che tutti abbiamo gli stessi diritti, che tutti siamo uguali di fronte al lavoro e alla legge. E poi si vedrà

Da cinque o sei anni voto solo per candidate femmine, ma finora non ho mai raccolto firme perchè le liste elettorali siano composto dal 51% di donne. E poi si vedrà

Nel 2022, per parlare di libri, 1 su 4 dei libri che ho letto era di una donna, nel 2023 ogni 3 libri  letti, 1 è stato un libro di donna. E poi si vedrà

Questi esempi spiegano la mia mediocrità. Facciamo un esempio semplice? Leggere fa immaginare, leggere fa immedesimare. Poniamo che il nome per lo stato di cose della nostra società, in cui tanti, tantissimi maschi si sentono e sono "signori e padroni" sia Patriarcato. ok?

ok! bene: leggiamo libri scritti da donne per un paio d'anni di fila. Lo so che leggiamo i maschi senza nemmeno farci caso. Ma adesso proviamo a leggere dalle donne. E anzi, andiamo a vedere film a regia femminile. Per due anni. Questo dovremmo farlo. Vedremmo il mondo dal loro punto di vista e credo che sarebbe impossibile non imparare qualcosa.

io sono certo che vedere di più coi loro occhi e imparare cose nuove sul loro linguaggio ci farà bene e smusserà gli spigoli vivi e taglienti del patriarcato.

E vorrei dire una cosa che unisca una critica di de Beauvoir alle donne all'autocritica dei maschi adulti del 2023: 

Sono mediocre nel giocare la mia parte nella rivoluzione culturale e antropologica condotta dalle donne. 

Ci sono idee della de Beauvoir che non capisco ("la maternità è una schiavitù per la donne", detto da lei nel '72 e tradotto così da V. Dridso, o da B. Garufi, o da V. Nencini Baranelli nel volume che ho letto), ma la linea generale la sposo in pieno. Il libro contiene tanti temi che condivido e che vorrei si trasmettessero alla generazione dei nostri figli, così forse la mediocrità diverrà altro, una sufficienza piena che diverrà eccellenza. Non so cosa sia l'eccellenza nella questione dell'uscita dal patriarcato. So che così non si può andare avanti: che qualcuno di noi maschi deve schierarsi contro i limiti della società, contro la società in cui comunque vogliamo vivere. E viviamoci, ma non così. Le attenzioni che ho avuto finora io non bastano, e quelle che aggiungerò - ci proverò e CI STO provando: queste righe sono una uscita che mi impegna - di certo non basteranno perché la rivoluzione sia compiuta. 

Bisogna mettersi in discussione. Questo libro ti fa mettere in discussione. Quindi è un tassello utile. il quadro definitivo nessuno lo conosce, ma il quadro attuale deve cambiare!

La mia natura crede nel cambiamento. Nella mia immagine di cambiamento non c'è la violenza. Il cambiamento violento è da temere per le sue conseguenze nel medio e nel lungo periodo; io istintivamente favorisco ogni cambiamento che mi pare graduale, oltre che doveroso, mentre giudico troppo rischioso ogni cambiamento netto e rapido. La reazione esagerata e violenta. lo so che chi non risica non rosica, ma se mi metto a valutare freddamente il quadro, dall'esterno, vedo qualcosa che sarà utile a tutti e tutte: con una cesura vedo un peggioramento della condizione femminile, un peggioramento interamente imputabile ai maschi! Vedo un danno ulteriore, perpetrato dai maschi, se si compiono passaggi drastici. Bisogna agire, e nell'azione "usarci" gentilezza a vicenda. 

Io maschio quarantenne con reddito fisso e la mediocrità: altra riflessione.

Non esco da una zona grigia né per la piena luce ne per un buio placido, ho paura. Ho paura della forza maschile. Devo propagare i miei sensi nello spazio attorno così come è, e poi si vedrà. La fiducia che ho nel femminile mi ha portato a fare alcuni passi avanti e mi da le motivazioni per proseguire, con gradualità e consolidando ogni millimetro guadagnato. Sia verso la luce di una società visibile e vivibile che nel buio placido delle relazioni, con una donna e con le donne che incontrerò. MA ATTENZIONE: riconosco di non essere all'avanguardia! Io ho creduto, a lungo, di essere nettamente schierato dalla parte della parità di genere, invece ero solo nella retroguardia di questo enorme gruppo di persone favorevole all'emancipazione concreta delle donne (gruppo fatto da maschi, da femmine, ecc.).

Sono disposto fino a un certo punto, e poi si vedrà. Il “poi” è importante, ma il nocciolo della questione è accontentarsi della mediocrità. Ok, non è virile, non è nemmeno femminista, la De Beauvoir mi incenerirebbe col suo sguardo arguto. Ma è il mio modo e si giustifica con… tutto il resto. Valutando a cicche e spanne il resto io sento che non siamo pronti ad abbattere le convinzioni antropologiche maschiliste in vigore. Io credo che dovremmo puntare tutte/i su alcuni temi grandi, e concentrare lì ogni sforzo. Siccome non sono uno studioso del genere ma sono un tipo pragmatico, direi di puntare su due cose, solo 2, e basarsi sui numeri:

1) controllare le tabelle degli stipendi e uguagliare gli stipendi di uomini e donne. Questa frase deve essere una stella polare e poi, sotto la sua luce si potranno vedere mille dettagli. I dettagli verranno dopo, ora mettiamo mano ai grandi numeri. Io partirei dalla grana, e farei alla svelta - perchè la LORO IMPAZIENZA E' AMPIAMENTE GIUSTIFICATA!

2) elezioni a cariche pubbliche: imporre in Italia una regola sulle liste elettorali che somigli a questa.

Quando è stato raggiunto il 51 % dei nomi necessari a completare la lista con nomi di candidate donne, si può finalmente aprire quella lista anche ai maschi. Le elezioni si fanno con calma, non di corsa, e tutti sappiamo che alcune sono ogni 4 anni e altre ogni 5: si deve programmare. Vedo bene che ciò non comporta l'elezione di tante donne in modo automatica - e mi spiace - ma nella formula proposta trovo un passo avanti che si può facilmente consolidare nel giro di una generazione. Le donne si conquisteranno la fiducia, ma se non le si mette in lista... e qui le formazioni politiche di sinistra e di centro sinistra sono in grave ritardo!

Al Comune si presentano liste con 29 nomi? Quando avremo in lista 15 donne potremo andare a cercare i 14 nomi che mancano. bisogna solo far ruotare le altre regole elettorali intorno a questa. Si può fare. Si inizia ora: con le prime liste elettorali da fare per le quali non sia già iniziata la preparazione dei candidati. Ho detto preparazione apposta: chiunque si prepari svolgerà meglio il servizio.

Tu mi hai generato

La mia piccola storia di uomo che promana da generazioni familiari (generazioni che si sono educate e provano ancora a educarsi a vicenda, il che è un tassello della rivoluzione antropologica in corso in Italia). Non vedo lo spazio per un cambiamento drastico che sia pure incruento. Bisogna trovare la velocità giusta, ma questa rivoluzione non si deve fermare.

Se è per questo, non deve nemmeno rallentare. Noi uomini abbiamo già fatto troppi danni. Tocca a loro.

La professione è la mia media, il reddito (derivante da una professione, quella media, o mediana o mediocre secondo chi mi vuole artista o, più rozzamente, ricco) è la mia medietà, è ciò che mi fa fare quasi tutto quello che faccio. Poi, rimane un sacco di roba fuori dalla medietà. Esempio? Cerco letture fuori dalla media, fuori dalla top ten, fuori dalla moda.




sabato 30 settembre 2023

Tutto quello che è successo: Robertson "salva" l'America

Libro: Tutto quello che per poco non è successo (originale: The greatest thing that almost happened
Parole: contegno, pudore e crepacuore, #prestazione, #Midwest

Era giunto il momento di commentare l'ultimo tassello di una serie che amo molto, la serie di Morris Bird III scritta da Don Robertson tra il 1965 e il 1970. Questo è il romanzo di Don Robertson pubblicato in Italia da #nutrimenti nel 2022 grazie alla traduzione di Nicola Manuppelli, traduzione che fortunatamente per noi… è successa. E ne sta per arrivare un’altra, quest’anno! Ehi sono esclamativi per l’entusiasmo di quando la lettura ti scatena!
Il centro della faccenda è che la trama del romanzo è in bilico su tre cose importantissime che stanno per succedere a Morris Bird III.


Tre cose diverse e fondamentali che possono capitare a chiunque di noi. Tutte e tre in una parola: Passione. Il problema nel parlare di Robertson è che a Robertson ti ci affezioni subito. Lo Zio ideale, col quale chiacchieri volentieri, fai una passeggiata di pomeriggio d’estate, ti bevi un goccio. Il problema è se sai o no evitare di parteggiare senza critica. E un altro problema è aspettare il prossimo libro - anziché andare online e fare un ordine con spedizione gratuita di 5-6 chili dell’opera omnia dagli States. Ma quando puoi contare su Nicola Manuppelli, che tradurrà l’intera opera di Robertson perché dovresti imbarcarti in una lettura che ti rallenterebbe perché in una lingua che non è tua?). Manuppelli è autore, e scrive oltre a tradurre, e le sue traduzioni filano che è un piacere. C’ha la magia sulle dita ed è in sintonia con autori del calibro di Robertson, Guthrie, Dubus, e ovviamente il grande Chuck Kinder. La lettura è stata molto piacevole.
Il ragazzo Morris arrivò a capire il decoro, la grazia e tutto il resto. Come ci arrivò è lo scopo della trilogia a lui dedicata. Ci arrivò per esperienza diretta e perché stava attento agli altri. Da papà dico, azzardando, scoattando, che è stata la sua esperienza a fargli accendere le luci sugli altri. Penso alla nonna di Morris - conosciuta nei libri precedenti - tanto presente nei pensieri di Morris che cresce. E questo libro? Questo è la storia di come arrivò, il ragazzino, a diventare una “persona” adulta, rimanendo fondamentalmente inconsapevole dei propri pregi, e per questo santamente adulta.
Qui vediamo Morris attraversare i mesi decisivi della sua vita: freschi, pochi, ingrati.
Il decoro di una persona è oggi un tema da filosofi. Il decoro è relativo. Il lavoro chiesto a filosofi e pedagogisti oggi è dunque più utile che mai!
In effetti, però, se ne è occupato anche qualche romanziere. Ad esempio: Robertson.
Morris Bird III, orfano di madre, aveva un talento per la pallacanestro. La sua famiglia era originaria di Paradise Falls. Paradise Falls è una cittadina letteraria in cui succedono gli episodi del mondo immaginato da Don Robertson, un mondo dove aggiustare quello che non va nel mondo reale. Oh, Ok, questo può farvi pensare a un lieto fine. No. Non è così che funzionano i romanzi di Don Robertson. 
Spiace! (no, non è vero: sono belli così, senza lieto fine)

Morris bird III ha 17 anni ed è innamorato.
Ama Julie, e lei gli vuole bene. Però le cose tra loro non vanno come Morris desidera.
D’altra parte Morris sa bene che la natura della vita è il conflitto. Eh sì, dai. Le cose stanno così.
Questo ragazzo è fantastico quando da' queste prove di essere lui, semplice ragazzo americano, il più grande spettacolo del mondo. Se la vita è conflitto, è normale che l’amore sia litigherello, ed è naturale che Julie non faccia filare le cose lisce come Morris vorrebbe, vorrebbe tantissimo. Lui vorrebbe anche fare a meno di riappacificarsi, o stare lì a pensare, a rimuginare... Lui sente. Lui si è fatto già una certa idea di giusto e di sbagliato, ma non vorrebbe parlarne agli altri.
E’ la professoressa di lingua della sua classe che lo induce a esprimersi. Perfino su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, sissignore, niente di meno! E’ lei, la signorina Goldfarb, a fregarlo: lui non vorrebbe lasciarsi coinvolgere in conversazioni serie coi coetanei, figuriamoci sullo sbagliato e sul giusto, poi!

Non sarebbe stato male parlare anche dei due episodi precedenti della Trilogia, però ammetto che mentre li leggevo e me li godevo, ero più curioso di arrivare al termine che disposto a rischiare giudizi. Perché i finali di Robertson non sono prevedibili, non all' "americana". semmai sono neorealisti come i film di De Sica. Chissà che fine avrebbe fatto il giovanissimo Morris Bird III. Fosse stato uno scrittore italiano degni anni 50, sarebbe stato diverso: il finale realistico sarebbe stato probabile e il lieto fine improbabile. E Robertson è verista, ed è ironico, e unisce comicità e realismo nel destino “finale” di alcuni personaggi. Io, a Morris gli voglio bene da tre anni, non volevo sbilanciarmi, che poi magari il caro vecchi Robertson si scopre gli ha riservato una fine tragica (tutto questo perché non mi sono procurato Tutto Quello che per Poco non è Successo in versione original: lo farò, tutti dicono che Don scriveva da dio). 
Ed eccolo, il finale. Parlare di un libro che appartiene a una trilogia di cui si ignora l’epilogo ha senso se pensi al successo che sta avendo – tra il pubblico degli adulti – l’intrattenimento in salsa Serie-tv, che poi è una salsa che Robertson sapeva preparare: metti il piacere di ripescare le storie quotidiane, mettici la Storia con la S maiuscola (degli USA), mettici il saper narrare, i tanti personaggi e la creazione di un mondo. 

E' una poetica redimere la (le) vita (vite) con personaggi che si battono per un mondo che cambia continuamente? è una poetica fare romanzi storici, con ricostruzioni minuziose, per fare un backup del Paese che ami? non lo so. Robertson amava parlare dei buoni sentimenti, e ha creato personaggi prendendo tutti i connotati dalla vita vera di persone americane comuni, e ha fatto vivere loro vite comuni, molto coinvolgenti, in un mondo apposito, ma non in un mondo comodo e nemmeno su misura - ne per i personaggi, ne per la storia. 
Robertson ha creato Paradise Falls, e nel blog ci sono alcune gite in quella cittadina americana. E non ci sono critiche a Robertson. Ne allora ne ora. E tante grazie!