Libri: L'angelo di neve, Luce d'estate ed è subito notte
Parole: corrente, claustrofobia, appartenenza, Islanda
C’è
sempre bisogno di un motivo valido, per scrivere. Bisogna trovarlo. Stavolta ne
ho trovati due: il primo è che ho un buon libro da raccontare e il secondo è una
polemica dalla quale mi sento toccato. In questo soleggiato aprile, in cui succedono
anche cose brutte e molto serie, uno dei temi d’attualità è “lavorare di
domenica”. In Italia quasi 5 mln di persone fanno lavori con turni festivi, 3,5
mln hanno un lavoro precario e più di 3 mln sono disoccupate. Tra chi ha deciso
di esprimere il proprio parere attraverso i social, prevalgono i contrari al
lavoro domenicale. Io sono in minoranza: a me va bene lavorare anche nei festivi.
Questo
E’ il punto di vista di un libraio
lavoratore-dipendente, e NON E’ una
contestazione dell’opinione altrui: se mi lasciate lavorare in pace a Pasqua,
vi prometto che non lavorerò qualche altra domenica. Ok?
1 L'Angelo di Neve fa bella mostra
di sé insieme ad altri gialli scandinavi
Come
dicevo, ho anche trovato un libro bello. La comunità di autori, che forse
esagero a chiamare “Scuola Scandinava”, non si è seduta sulla sua buona reputazione ma si sta aggiornando e
allargando, e questo rende tutto il movimento
ancor più interessante. Sono convinto che ci sia ancora molto da scoprire circa
la letteratura del Nord Europa, anche al di fuori della corrente del crime
scandinavo.
Quando
si parla di narrativa, l’Islanda viene considerata un paese scandinavo. Anche qui,
sul “continente”, gli islandesi si leggono bene. Mi pare che l’apporto islandese
al successo globale dei libri nordici sia notevole. E questo è sorprendente se
si considera che al mondo ci sono solo 330mila islandesi! Obiettivamente non è
una grossa cifra. Su questo essere pochi e perlopiù decisamente “appartati”, i
migliori tra loro ci scherzano su. L’autore Jòn K. Stefànsson, ad esempio, ha ironizzato
su certi tratti tipici islandesi nell’incipit del suo ultimo libro:
Stavamo quasi per
scrivere che la particolarità del paese sta nel non averne nessuna […]
sicuramente esistono altri luoghi in cui la maggior parte delle case ha meno di
novant’anni, luoghi che non vantano nessun personaggio rinomato, nessuno che si
sia fatto notare nello sport, nella politica, nel commercio, nel mondo del
crimine. Luce d’estate ed è subito notte, p. 7
E
poi c’è gente come Ragnar Jónasson. Questo giovanotto classe ‘76 veleggia alla
grande nel Regno Unito, ed è un islandese che è emerso. Ho letto il suo libro
d’esordio, L’angelo di neve, e l’ho
trovato molto emozionante. Un
motivo valido in più per dedicargli un post è che questo è il primo suo libro
pubblicato nella nostra lingua. L’ambientazione è particolare: nel suo essere
estremamente nordica risulta anche molto esotica, specie per noi italiani.
Siamo nella città di Siglufjörður, vicino all’area più sperduta dell’Islanda, i
Fiordi Occidentali. I fatti si svolgono tra fine 2008 e inizio 2009, durante la
pesante recessione economica. Il protagonista, Ari Þór Arason, proviene dal
sud, da Reykjavik, dove il clima è migliore e la gente più aperta o, piuttosto,
meno abbottonata, ed è il classico pesce fuor d’acqua.
Siglufjörður conta 1200 residenti, ed è
universalmente catalogabile come Piccola Città; peraltro, da quando le aringhe
hanno lasciato il fiordo su cui si affaccia, è indubbiamente un EX florido-centro-commerciale-marittimo.
Succede poco, vige il rispetto reciproco e il massimo della vita è fare parte
della filodrammatica (amatoriale). Per i concittadini, però, è una città
"grande", dato che vanno considerate veramente piccole solo le
città con 600 abitanti. Questo ci serve per capire subito il contesto, ed
entrare nel mondo islandese, il quale ha regole e misure tutte sue. Un mondo
dove l’acqua dei rubinetti, di base, è calda e dove, per la stessa ragione, gli
alberi di Natale arrivano dalla Svezia, e quella ragione è la straripante
vitalità geotermica, che scalda le falde e rende la vita difficile alle radici
degli alberi. Detto questo, si tenga presente che Siglufjörður pare abbia un
clima invernale da incubo. O almeno così sembra a chiunque sia abituato
agli inverni a sud di quella “grande” città. Una cosa che mi piace un sacco del
libro è che, al pari di Ari Þór Arason, il Clima è Protagonista. Ari Þór (leggiamolo pure Ari Thor
all’inglese o meglio ancora Ari Dor) è un bel giovanotto di 24 anni che si trova a un bivio
della propria vita: è uno che non mette radici, un istintivo, e fino a poco
tempo fa stava studiando teologia. Si trovava giusto sul punto di divertirsi
parecchio sotto alle coperte con la sua ragazza quando, improvvisa e
torrentizia come solo le proposte di lavoro islandesi possono essere, gli
arriva un’offerta del tipo “prendere o lasciare” dal distretto di polizia di
Siglufjörður. Gli telefona personalmente il capo della Polizia Locale, Tomàs,
un uomo tutto d’un pezzo che ha sempre vissuto a Siglufjörður, cioè molto,
molto lontano da Reykjavik.
Ari
Dor accetta su due piedi.
La
sua ragazza ne prende atto glacialmente, come solo le ragazze islandesi
(deduco) sanno prendere atto delle decisioni impulsive e del tutto
destabilizzanti del proprio partner. Il profilo di Ari Dor rimane descritto in
modo grezzo. I tratti presenti in questo episodio si devono prendere
necessariamente come i più salienti. Certo… Alle bufere di neve vengono dedicate
descrizioni più esaustive e mi auguro che la sua caratterizzazione migliori
nella prossima puntata. D’altra parte il meteo infernale del gennaio islandese
è davvero importante in questa storia: è esso a portarci nel necessario clima
di tensione claustrofobico. Siamo a
metà libro, al 18 gennaio 2009, tra interminabili tormente e odiose valanghe
quando l’autore butta lì che “l’atmosfera COMINCIAVA a diventare opprimente”. Il
che è tutto un programma. Una situazione simile avrebbe fatto venire
l’esaurimento nervoso anche ad Osho; comprendi che Ari Dor sta letteralmente sbroccando
e solidarizzi con lui. Infatti, mentre i cittadini di Siglufjörður sembrano “felici
di godersi il maltempo da dietro le finestre”, Ari Dor inizia a subire tanto la
mancanza di quel senso di rifugio che ti da casa tua, quanto la forza irrefrenabile
e superba degli elementi. Prima gli sembra di “non riuscire a respirare”, poi inizia
a passare notti insonni mentre la neve sale fino alle finestre, quindi arrivano
gli attacchi di panico e a un certo punto l’“oscurità gelida lo inghiottì”. In
questo simpatico contesto c’è pure da indagare, agli ordini del burbero Tomàs, sulla
morte di un cittadino illustre e su un’aggressione ai danni dell’Angelo di Neve.
Jónasson
descrive bene cosa prova un claustrofobico,
e i passaggi in cui Ari Dor soffre sono emozionanti. La galleria di personaggi
di Siglufjörður riempie benissimo il quadro giallo della storia e rende vivide
le fasi, ben architettate, delle indagini.
Nel
finale, quando si raccolgono tutti i fili ma non tutto va come dovrebbe, si prova
un senso di disorientamento “contagiosamente umano”, per dirla alla David
Foster Wallace. Succede una volta che il caso principale viene risolto, al
termine di una sequenza di depistaggi e di intuizioni. “La giustizia è
un’illusione”: a p. 276, sono questa le parole del giovane investigatore Ari
Dor con cui riconosciamo l’inevitabile, ciò da cui speravamo di poterci sentire
al riparo. Ci scappa un sospiro, più un “eh già”, più una leggera espirazione
nasale finale. La giustizia in questo romanzo non è impossibile, ma - più
concretamente - è scivolosa come un pezzo di ghiaccio. Non c’è alcun disamore
verso la ricerca della verità, no. Ma quando gli uomini si applicano perché
giustizia sia fatta, devono fare i conti prima di tutto con le proprie
debolezze – Ari Dor è ingenuo e impulsivo – e poi con altri uomini. E a volte i
conti non tornano. Non cercate filosofia in questo libro, godetevi le emozioni
che suscita! Molte sono amare, altre spaventose, ma c’è dell’altro. Dalla scena
in cui Tomàs, nonostante tutto, promette
fedeltà alla sua Città e alla sua Terra,
scena con la quale Jónasson sembra volerci dire “arrivederci”, trasparisce
serenità: lo stesso paesaggio che ha saputo intimorire e tormentare, può
regalare la grande gioia di saper stare nella Natura e riuscire a godere della
sua Maestà.
È
un affettuoso tributo all’Islanda, e un invito a tentare di spiegarsi perché un
essere umano si sente legato al territorio dove è nato e cresciuto, fosse anche
un angolo d’inferno.
2. Me e due Eroi Romantici,
Islanda, 2004
(archivio privato).
Più che per la riuscita
del mix con cui si costruisce un buon giallo, L’Angelo di neve si distingue sia
come libro sui tormenti psichici indotti da un clima estremo, sia come
biglietto da visita
per una corrente
neoromantica di stampo nordico, adatta a un pubblico trasversale, ampio e in
cerca di un nuovo esotismo. Più freddo che mai.
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