mercoledì 23 giugno 2021

Le Città Visibili: raccontare è far vedere

 Libro: Le Città Invisibili (Oscar Mondadori)

Parole: logogrifo, chiurlo, resoconto

Persone: Calvino e Marco Polo (ah già! ... e Pasolini)

Le Città Invisibili è un libricino. Un piccolo volume con piccoli racconti. Un’opera narrativa con due modi di raccontare: per immagini e per dialoghi. Cerco libri che divertano e “servano”, perché, insomma, il tempo per leggere è SEMPRE poco. Le Città Invisibili ha entrambe le caratteristiche.

Dovreste prenderlo in considerazione per questi motivi:

·         - diverte perchè la durata dei brani è breve e ciascuno porta lontano

·     - assomiglia a un bel piatto estivo: ha tanti ingredienti freschi, stanno bene insieme ed è leggero, anzi leggerissimo

·      - serve perchè è estate e questo, tra i #libridiviaggio , è un purosangue, alimenta la nostra curiosità. La voce narrante è un grande viaggiatore realmente esistito: Marco Polo (1254 - 1324) è una figura da tenere sempre presente. Tutti i giorni.

Sfortunatamente, nessuna delle città descritte esiste, ma il libro offre comunque qualcosa al viaggiatore: ci sono spunti per scegliere cosa cercare, di particolare, nelle innumerevoli città che si sono, finalmente, riaperte. Le città inVisitabili sono Visibili: evviva!

Sento già la “febbre da viaggio”, dopo mesi di confini “variopinti” (prevalentemente arancioni…). In questo libro il tema Viaggio è centrale, ma troveremo anche libertà e potere, amicizia ed età.  Età a confronto.



Perché consiglio questo libro:

-          In questo volumetto le parole d’altri tempi sembrano poter vivere ancora: cesti per la frutta raccolta al mattino, gorgiera, chiurlo, carovana.

-          Ho capito perché Calvino è uno scrittore molto indicato per gli studenti: è formalmente perfetto, suona sempre bene, rispetta il tempo del lettore e non te lo fa mai perdere.

-          Infine: agli adulti il libro fa bene perché oltre a stimolare la curiosità per le aree urbane, affronta il tema dell’età e dell’amicizia – compresi i rapporti tra Capi, necessariamente Severi, e Dipendenti, necessariamente Creativi.

Io credo che nessuna città al mondo sia completamente comprensibile, però trovo sempre divertente cercarci dentro queste 3 cose: un filo conduttore, un modo per farla mia e un' esperienza particolare da provare. L’ho fatto un mese fa con #Bologna, poco dopo con #Roma e nel fine-settimana con #Torino. Ero già stato in queste città altre volte, ma stavolta ho cercato qualcosa di nuovo, puntando tutto su singoli quartieri. Inoltre, le città cambiano...

(io che) "noto" vicolo di Roma, vicolo "transitorio" 
[nei pressi di via de' Coronari]
Bologna ... come Gugl Maps non l'ha mai vista

Come nasce una città invisibile? 
    Mito e realtà coesistono in Calvino. Questo rende la lettura piena di sorprese. Ci si sente accompagnati dall’autore, il quale utilizza una coppia di personaggi che si fanno compagnia, Marco Polo e Kublai Khan (1215 - 1294). Polo racconta al sovrano. Il trucco è proprio il raccontare. Il gran Khan è vecchio. Il regno è sterminato. Il Gran Kan nelle città su cui ha dominio può arrivarci solo all'energia narratrice del giovane Polo.

    Ogni città una storia, ogni storia un messaggio di Calvino per il suo pubblico, lanciato come una guida locale racconterebbe la città a un suo amico in visita, in modo affettuoso e senza gli schermi della professione. I messaggi fantastici e metaforici di questo "esperto del posto" compongono il libro: per il re del mitico reame del Catai bloccato nel suo Palazzo sono sono città invisibili. Nel corso del 2021 anche le nostre città ci sono sembrate lontane e irraggiungibili, e mi sono rivisto in Kublai.

    Consiglio il volume Oscar: ha una postfazione di #Pasolini che da’ una lettura di Le Città critica e imprevedibile Quando si legge un classico, a volte una chiave interpretativa coraggiosa è una sana scrollata che tira via la polvere. 

        L’attualità del libro: noi, oggi, ci spingiamo verso i limiti della conoscenza, e quando si sta vicini al limite bisogna fare attenzione. Mi torna in mente La Sindrome di Teodora di Letizia Bricchi (cioè il post precedente).

    Il testo di Pasolini è ricco e ironico. Sto fingendo di averlo capito perfettamente (in realtà è stato scivoloso, una specie di formula magica che letta da me non funzionava), ma sono sicuro sia utile per inquadrare Calvino. Mi ha dato modo di capire perché preferisco Calvino a Pasolini. Pasolini, per dirne una, ha un linguaggio che non mi porterei mai in vacanza: divaga di qua e di là ed è molto forbito. Me lo leggerei volentieri in inverno. Calvino è da vacanza.

Anche il Polo di questo libro divaga molto. 

    Khan si lamenta, con poche, taglienti parole, per la sua mancanza di concretezza: non riceve ciò per cui paga! Eppure, consente che il suddito divaghi. Perché?

    Forse l’autore vuol dirci che pure un ricco sovrano trae beneficio dal carico di desideri che il semplice mercante spaccia per resoconto di viaggio. Non rende conto, ma racconta.

    Quel sovrano siamo noi lettori, e Polo è ogni scrittore. Di mercanti e di scrittori il mondo è pieno. Per fortuna.

Il Khan sa che le parole del mercante veneziano sono un atto di premura verso di lui. C’è un desiderio di dialogo, pur con la distanza in mezzo. Siamo noi all’epoca della pandemia! 

E’ un libro pieno di tentativi di comunicazione; come tra moglie e marito, o come tra amici lontani per Decreto o per DPCM, a volte i discorsi funzionano e altre volte generano muri di #incomunicabilità . I buoni dialoghi riescono quando si fa pratica: ascolto + discorso, ascolto + risposta, e così via.

Per tutti i momenti in cui desìderi uscire ma non puoi, SAPPI: con i libri di Calvino puoi abitare il desiderio. Rimanendo seduto nella realtà che “non vuoi”; se non puoi godere il desiderio stesso, preciso, puoi andare con la mente al Tuo Desiderio. Io penso che Calvino aiuti a farlo.

Poi un giorno, gli ostacoli che ti fermano, giusti, sbagliati o semplicemente incomprensibili, verranno rimossi. A quel punto chiuderai volentieri i libri, cliccherai su “esci”, premerai OFF e, finalmente, uscirai.

Ricorda solo, prima, 

di toglierti il pigiama.

su certi muri di Torino, giugno 2021
Su certi muri di Torino, giugno 2021, cercando il filo rosso. Corso Regina Margherita 140, per il progetto "TOward 2030". James Dean è appoggiato su un muro di via Barbaroux,
così come l'opera, transitoria, anch'essa, di SPAM (all'altezza di via San Francesco)



giovedì 10 giugno 2021

Da Astronauta a Cavaliere : la vita avventurosa del professor Balzani

Libri: La sindrome di Teodora, Le città invisibili, Energia per l'astronave Terra

  Parole: #energierinnovabili, #covid, #ingegneria, #chimica, #climatechange, #fotovoltaico, #resilienza

Persone: Vincenzo Balzani, Letizia Bricchi | Facebook

Vincenzo Balzani per me era semplicemente un grande divulgatore, capace di spiegare l'energia e gli intrecci ecologici nel mondo globalizzato a un pubblico vasto. E invece sbagliavo! Upgrade a Super divulgatore! E oggi pure Cavaliere! Negli miei anni da libraio, prima che Greta Thunberg rendesse la faccenda più chiara a tutti, a chi chiedeva da dove cominciare per capire il tema dell'Ambiente consigliavo sempre lo stesso libricino (270 pagine di piccolo formato) che Balzani aveva co-creato con un collega. Col tempo ho scoperto che in tutta Italia quel libro aveva riscosso un ottimo successo.

Balzani e Nicola Armaroli firmarono quel volumetto da 14 euro che oggi è bestseller, Energia per l'astronave Terra, e rappresenta un riferimento per temi che oggi interessano sono caldi e domani saranno bollenti. Offriva - e offre (oggi in nuova edizione Zanichelli) una chiave di lettura lineare (ma niente affatto noiosa o da "cattedra") sugli scenari energetici.

Nel 2016 gli dedicai al libro un post. Nel 2021 uno dei suoi due autori è Cavaliere di Gran Croce della Repubblica: direi che la gavetta l'ha fatta tutta... ;) 

Come sapete, pubblico pochi post - mmh mmh - e sono quindi molto contento che uno di quei pochi abbia avuto a che fare con un autore che da oggi sarà meritatamente ancora più popolare di prima. Anche perché, ammettiamolo, l'ego da libraio brama sempre di riconoscere un buon libro prima che SPACCHI sul mercato! 

Prima che dilaghi nelle case e nelle scuole! Che scali la classifica del Corriere della sera! Che Chiara Ferraghni si faccia un selfie con la copertina! 

Oggi, che non lavoro più in una libreria, continuo a consigliare questo libro: 



Come nel 2016,
anche oggi cerco di seguire in qualche modo il dibattito sull'Ambiente. 
Be', la ricerca è veramente caotica! 
Mi dispiace dirlo, risultare così "vecchio", ma su internet c'è troppo.

 

Tra Greta, la pandemia e il PNRR gli articoli sul tema sono aumentati in modo esponenziale. Io credo che non vada perseguito un "sapere" generico in modo casuale: preferisco un piccolo bagaglio di conoscenza dal quale trarre poi, se del caso, le nostre proprie conclusioni - possibilmente volando bassi e con una piccola zavorra di modestia (a meno che non si possieda qualche titolo. Tipo Cavaliere di Gran Croce per meriti scientifici, ecco, se no è meglio non intasare i social).
Cerco sempre dei libri chiari e semplici scritti da chi ha dedicato ANNI al tema. Poche settimane fa mi hanno parlato di un'altro libro sull'ecologia, e qualcosa di quel suggerimento aveva attirato la mia attenzione: il titolo evocava un altro libro, uno di quei saggi letti tanto tempo fa, bello eh! un libro forte ma che... non ricordavo assolutamente quale fosse. Prima di perdere le ultime residue facoltà mentali feci qualche ricerca a partire dal saggio che mi avevano suggerito, che era

 La Sindrome di Teodora, di Letizia Bricchi 

 http://www.libreriaromagnosi.it/ricerca.asp , e il collegamento era con Le Città Invisibili di Calvino. Eeeh niente: non mi veniva!

https://www.mondadoristore.it/Le-citta-invisibili-Italo-Calvino/eai978880466802/ 

Quello scritto dalla Bricchi, autrice all'esordio, è un agile compendio divulgativo sulla crisi climatica. Un viaggio di cento pagine che chiama il lettore ad azioni “clima-positive”. 

La Teodora del titolo è proprio una delle Città Invisibili che rivive, quasi 50 anni dopo, con più energia che mai: nel repertorio di luoghi e situazioni che è Le Città Invisibili di Calvino, Teodora è sfruttata dallo scrittore per avvisare il genere umano di non eliminare gli animali solo perché fastidiosi o non necessari. Gli uomini e le donne di Teodora, infatti, vogliono debellare le altre specie animali, perché le ritengono INCONCILIABILI con la propria società. Le specie vengono sgominate una a una dagli umani, che effondono in questo progetto apparentemente civilizzatore un’energia enorme. Non lesinano risorse. Restano solo gli umani. Per Bricchi, Teodora è il pianeta Terra. Gli abitanti di Teodora credono di aver imposto un discreto ordine, aah, finalmente, e di aver domato tutte le bestiacce pungenti e brulicanti e puzzolenti e svolazzanti, che fastidio mamma mia! 

Si credono liberi da ogni vincolo. Metropolitani perfetti.

Scopriranno che non è così. Illudersi di essere i padroni della Creazione non lascia scampo.



E' la stessa conclusione a cui sono arrivato io leggendo La Sindrome di Teodora. Più vasta della nostra conoscenza è, e sarà per sempre, la Natura. La quale, immagino, ci sopravvivrà. E la Perfezione, se c’è, dura poco.

Il libro, che vi consiglio, riunisce anche tantissime risposte positive, appoggiandosi sulla Laudato Sì’ di #PapaFrancesco del 2015, e su fonti scientifiche, indicate a pie’ di pagina, facili da riscontrare. Come si addice a un saggio. Fonti che ho verificato, con tutta calma.

... ovviamente su internet 😁

domenica 16 agosto 2020

Il cambiamento climatico scritto (e forse scongiurato) da uno scrittore fenomenale

  Libri: Dimora Naturale, Clean - tabula rasa, Altrimenti siamo fottuti
  Parole: unionale, contagio da covid-19, lockdown, intenzione

I miei scrittori internazionali preferiti sono tre. Due li conoscono tutti - e uno dei due è Borges. Il terzo è Jonathan Safran Foer, che dei tre è l’unico a essere vivo! 

Giuro, io non so dire con certezza il cognome di nessuno dei tre! 
Prendete Borges: Jorge Luis Borges, argentino, premio Nobel mancato per un pelo. Tra me, altri librai e clienti ogni tanto si diceva Borkès, a volte con la r di Roma, a volte alla Guccini, Bòrghes, o al limite alla francese - ?! Finalmente, la funzione “pronuncia” di Wikipedia fa da arbitro! Ma prima? 
Se prendiamo Jonathan Safran Foer il cognome in Italia è diventato per pigrizia Foer, ma quando dici solo “Foer” in libreria, ormai, il problema è un altro: quale Foer? Jonathan, Franklin o Esther? Esther è la madre del narratore. Ma io resto indeciso se dire o no Safran Foer. Insomma: i miei scrittori “stranieri” preferiti, miei amici immaginari, io non saprei come chiamarli. Orribile. Con le amicizie virtuali è così. Potrebbe mancare la reciprocità. 
Quello che conta, alla fine, non è l'autore, ma l'opera.
Quando il libro ti è piaciuto, il nome di chi l'ha scritto non è che un'indizio in una caccia al tesoro.

Durante il lockdown ho letto molto più del solito. Dovendo fare a meno di quelli reali, ho frequentato i miei amici immaginari. Avevo più tempo, avevo più bisogno. Ma c'è un'altra ragione. 
 Qualche mese fa è uscito l'ultimo di Jonathan Safran Foer e facevo ancora il libraio. Comprato subito. Non letto. L'ho ripreso nei mesi scorsi perchè azzeccato per l'era Covid. Il punto è che questo libro mi ha dato un mucchio da fare. Per godersi il libro, sempre, deve stabilirsi un rapporto di fiducia con l’autore. Per cui, se uno scrittore ti parla di alimentazione, inquinamento, o cosucce tipo l’estinzione del genere umano, qualche verifica ti tocca farla. A meno che tu non voglia un Profeta e basta, a prescindere da cosa dica, ok? Quindi per leggere il libro di Foer, mi sono letto un bel po’ di testi collegati. Ne è uscita una lettura appagante. Posso dire che, più che una lettura-standard [passatempo, emozione (il buon vecchio caro narcisismo?)], ne è venuta fuori un’idea. Qui però parlerò del libro e non dell’idea che ha generato. 


 Possiamo salvare il mondo, prima di cena: è l’ora giusta 


Qualsiasi autore può tornare su un tema e ripetere sé stesso senza essere condannato, e Safran Foer lo ha fatto dopo 3 anni. Ha fatto bene!

 “Possiamo salvare il mondo, prima di cena” è una cosa bella. Oggi ci sono buone ragioni per leggerlo, a prescindere dalla storia dell’autore e dei suoi precedenti libri. Contiene un antidoto all’indifferenza. Di più. Ha una dote che nessun’altro libro di Foer ha avuto. La tempistica

Scritto da un mago. Simpatico.
Capace di cambiare punto di vista. Una partita persa che però viene giocata, "perché vale la pena". Come si può indovinare dal titolo, in quest’opera Foer dimostra di avere in mente una specie di appuntamento. L’appuntamento è uno dei pezzi della poetica di Foer (con la verità sulle origini della propria famiglia = appuntamento in “Ogni cosa è illuminata”; con la fragilità che anche gli Stati Uniti prima o poi dovevano sperimentare = l’11 Settembre in “Molto forte, incredibilmente vicino”; in “Eccomi”, il cui titolo è già un’allusione all’appuntamento, questo tema è semplicemente lampante). 

Per chi ha già letto qualcosa di Foer, questa faccenda del “tempo” è familiare. E simbolicamente familiare è anche il titolo, che contiene un “prima di cena” molto accattivante. Sediamoci a tavola, allora: dentro al volume troviamo date specifiche e appuntamenti imperdibili e scopriamo la sua dote più originale:

questo è l’unico libro di Foer che arriva in anticipo! É uscito lo scorso settembre e serve ADESSO. All’uscita si inseriva nel filone dei libri sull’ecologia nel versante catastrofista. Molte lodi. "C’è un sovraccarico?" Sì. A tratti sembra di sì. "Ma è leggero, si legge bene?" Sì. Questo Johnny qua c’ha una penna che è un massaggio thailandese: è tosto ma fa bene! E si prende i suoi momenti di estro e di ironia. 
Credo che Foer sia una persona molto gentile, al punto di essere indulgente con sé stesso, come con i suoi lettori. E lo scoprirete. 

sabato 29 febbraio 2020

Ricorso alla lettura al tempo del coronavirus


Libri: Cecità - Merenda da Hadelman
Parole: famiglia - prefica - paziente uno - giallo - coronavirus

Ho cambiato lavoro da un mese. Facevo il libraio. Ho rimesso ordine nel mio tempo. Un cambiamento già importante - perchè è arrivato dopo tanti anni in libreria, ormai facevo parte del mobilio - al quale si sono aggiunte altre novità, queste temporanee, per via del coronavirus. In effetti, la vita filava fin troppo liscia!
 Vivo a poca distanza da Codogno, un posto che ho sempre visto come "il paese della Lombardia più vicino" e che ora mi scappa di chiamare "focolaio". L'argomento del virus è vivido e lo sento vicino. Scrivo pensando a chi è in quarantena e a chi, in varie forme, ha visto cambiare la propria vita in funzione di un certo isolamento. Penso che tutte queste novità scomode siano temporanee, e credo che la lettura sia uno strumento formidabile per affrontarle, in attesa di uscirne. Dobbiamo uscirne e ne usciremo. Ho sentito di amici che lavorano da casa, di amiche che per scelta tengono spento il televisore e anche di conoscenti costretti in quarantena. Se ancora non avete buttato lo smartphone nel cesso, spero che questa paginetta vi dia lo spunto giusto per leggere roba che vi piaccia. Vi parlerò di due libri azzeccatissimi per chi vive in tempi di coronavirus.

Una specie di lampo nella testa mi ha fatto pensare a Cecità di Saramago, letto qualche tempo fa. C'era qualcosa di magnetico in quel libro. Cos'era? Proprio non mi veniva! Prendendo atto della pessima condizione dei miei neuroni ho preso il libro e l'ho sfogliato. Ho dovuto rileggerlo dall'inizio. Ho avuto un po' di febbre, perciò il tempo di leggere non mi mancava. Per fortuna la risposta era nelle prime pagine: quello che richiamava la mia memoria era un dettaglio portentoso. Cecità racconta la vicenda di una città in cui un #virus faceva perdere la vista rapidamente a tutta la popolazione, senza potersi difendere. Il contagio è facilissimo e fulmineo. Città e persone restano senza nome il che rende inevitabile e potentissima l'immedesimazione!
Il Paziente uno della cecità ha 38 anni: la stessa età del paziente uno del coronavirus in italia. Questa è la parolina, "trentotto" che mi ha attirato a sè. Se questa cosa non vi lascia indifferenti, procuratevi il libro (referenze in fondo al post): ci troverete altre somiglianze. Alla fine l'ho riletto tutto. 
E di corsa!
Raccontami com'è andata, cosa hai sentito, quando, dove, no, non ancora, aspetta, la prima cosa da fare è parlare con una specialista
Non cessava di domandarsi com'era possibile che una disgrazia così grande gli stesse capitando, proprio a lui. A me, perchè? (p.20)
A un certo punto i malati vengono raggruppati dalle Autorità, e devono imparare a convivere - senza vederci. Lì inizia la costruzione magistrale del libro, con dei giochi delle parti talmente ben architettati che è un piacere pensare che esista qualcuno capace di una simile impalcatura. Sembra di sentire Saramago suggerirci di restare umani quando "il medico" dice: 


In un'epidemia non ci sono colpevoli, ci sono soltanto vittime

Una lettura veloce e scioccante, con un linguaggio in prevalenza collinare, dal quale ho imparato il termine prefica. Sorprendente! La trama ha un giusto dosaggio di "aree di sosta". Se vuoi fare un bel romanzo sulla compassione e sull'utilità della collaborazione devi necessariamente mettere in mostra una quantità massiccia di cinismo e di brutalità. Su questo genere di vizi umani si coagulano le forze di reazione tipiche del nostro "lato chiaro". La brutalità di certe scene - io ho fatto fatica e metto in guardia le signore, perchè qui alle donne capita ogni male - è cruda. I cattivi sono disumani, sono indifferenti ai propri simili, cercano un vantaggio immediato senza pensare al futuro, non cercano luce e si approfittano del disastro. Tutto questo però non deve etichettare Cecità come un'opera pessimista. La coesione e la compassione sono meno scioccanti ma, visto l'epilogo, più forti del male. Cecità fa riflettere chi vive l'epoca del coronavirus sull'indifferenza. Questa parola è già stata associata a Saramago; io ci voglio aggiungere altruismo. L'altruismo di una donna, la guida di tutti, ancestrale e reale, mitica e concreta, capace di sopportare di tutto, capace di generare le soluzioni, pur apparendo sotto una luce riflessa, infatti, per tutto il romanzo, il suo nome è "La moglie del medico"...

 Vi voglio parlare anche di un libro più leggero e molto utile per questi giorni a rischio noia e overdose da telegiornali. Merenda da Hadelman è capace sia di intrattenere che di porre un paio di domande: una sulla solitudine e l'altra sulla felicità.
Rispetto a Cecità non ha controndicazioni e in più è italiano.

Spero che non trascuriate le potenzialità della lettura in questo momento in cui all'informazione dovete affiancare una meritata evasione. Contro il tedio da quarantena Nicola Manuppelli è un ottimo antidoto: nei suoi romanzi succede sempre tanta roba. Di questo libro del 2016, zitto zitto, in libreria ne abbiamo vendute oltre 50 copie. Merito del linguaggio montuoso, della galleria di personaggi e anche dell'ambientazione: una Milano reale che tira e che respira, mangia e ha il mal di pancia, che contiene tutto , che eccede e che... sembra vera. Però più di tutto c'è quella faccenda della famiglia. Il buon vecchio Hadelman si ritrova a gestire un bar-caffetteria nel Quartiere. Ormai è un ex poliziotto, con evidenti problemi di depressione. Si crea una famiglia senza legami di sangue. Ciascuno ha un bisogno e un dono. C'è una luce da seguire... La felicità, ancora. Ma la felicità costa, mentre pure la solitudine ha il suo fascino (p. 26)!

Stanco della vita del Distretto, pensa solo a lasciare Milano e sparire il più lontano possibile. Per farlo gli servono soldi. Così, finisce per accettare la proposta di un amico ex-galeotto, da lui stesso più volte sbattuto in galera, uno dei pesci piccoli del Quartiere: Bilco. 
Hadelman deve solo avviare il locale per conto di un amico comune, che si trova in carcere e che pare si sia fatto acchiappare di proposito, un boss all'antica e dal cuore tenero di nome Vilaro.
N. Manuppelli sulla quarta di "Hadelman"
L'ultimo personaggio a cui vi accenno è il mio preferito: si chiama Chan, è #cinese e fa ufficialmente il cameriere. Di notte si trasforma nell'assistente funambolo di Bilco per lavoretti di ogni tipo. Mi piace perchè è di poche parole (un vero cinese in italia) ma è un'alleato fidato e un vero eroe. Oltre al fatto di farmi ridere quando canta e balla il rock americano nelle notti meneghine. Al tempo della diffidenza comprensibile ma un po' ignorante, ricordiamoci quali sono i pericoli veri delle società come le nostre, già composte di tanti colori diversi.

La brigata di personaggi collabora fino all'ultima pagina per opporsi alle sovrastanti forze del male, in questo caso la Malavita con la M maiuscola, e cerca di ricompattarsi oltre ogni colpo di scena, per arrivare - e questo è il regalo di Manuppelli - a un finale giusto e consolante. Lasciandoci una bella trama e, soprattutto un "Decalogo della Felicità" che il vecchio Hadelman fa in tempo a compilare prima che sia troppo tardi. 

E' questo il "film" su carta che io vorrei fosse ben augurante per tutti noi, che attraversiamo il confuso e sospettoso clima dell'Italia al tempo del #coronavirus. 
A presto con qualcosa di nuovo sulla narrativa nordamericana e, spero, su David Foster Wallace.

schede dei libri di questo post:
https://www.lafeltrinelli.it/libri/jose-saramago/cecita/9788807881572 € 10
https://www.aliberticompagniaeditoriale.it/libro/9788893231145 € 16.90




domenica 4 febbraio 2018

Attenzione ai sogni nel cassetto!

Libro: Il diavolo nel cassetto
Parole: gioco, scrittori, vanità, volpe


«Mi trovavo in quel beato stato larvale 
che tutti noi attraversiamo
non appena scopriamo (o ci illudiamo) 
di essere vocati a una delle arti»



Maurensig inventa un racconto giocoso ammantato di nero e capace di lasciarci nell'inquietudine. Questo libretto è la cosa italiana più simile a Tim Burton che io abbia letto dai tempi di… di Tim Burton.
A me il linguaggio è risultato vecchio, ma non più vecchio di quello delle commedie di Andrea Vitali, e di certo non meno divertente. In effetti vorrei sottolineare proprio il diletto che questo volumetto è capace di suscitare.  Si intitola Il diavolo nel cassetto e la parola-chiave è vanagloria. Non è un libro divertente nel senso delle risate, attenzione! Molto meglio: ti chiama a un tavolo da gioco.

Forse per colpa della variante di Lüneburg, anche questo lavoro di Maurensig mi fa pensare a una partita a scacchi. Leggerlo è stimolante perché ci si sente sfidati: si scorgono diverse sottigliezze, ci sono provocazioni garbate ma deliberate, il ridicolo è somministrato in dosi gradevoli e altrettanto la suspense. 
A tratti questa storia, con la faccenda del diavolo e delle volpi malate di rabbia, con quei riferimenti alla vanagloria degli “scrittori”, mi ha messo i brividi. E forse quella marcia, un po’ ridotta, del passo narrativo, e quell’ingiallimento che parole come il “saturno del prete”, come “vocati”, conferiscono a certe pagine, altro non sono che due mosse dell’autore per comandare il gioco, per prenderti alla sprovvista al momento giusto. Una vecchia, saggia, volpe che sa come irretire un lettore. Specie se il lettore, come me, è incauto…

Tanto per cominciare, se avevate dubbi, leggendo si scopre che il diavolo esiste.
Io me ne sono convinto subito, forse perchè leggere è un gioco di ruolo, o forse perché 1 il luogo e 2 il modo in cui egli si è incarnato nel libro già mi parevano degni del demonio, a prescindere dalla lettura.
1: un paese alpino di mille anime, in questo caso Dichtersruhe
2: un editore ottimista, in questo caso unto, seducente e chiamato “Volpe
Molto probabilmente, il motivo che mi ha convinto subito è che l’autore è bravo, e io mi sono messo in sintonia con lui grazie a questa bravura. Come ad esempio quando ho letto la domanda esistenziale di p.51:

Il male era trasmissibile? Era contagioso?

Un altro passo utile per decidere se leggere o no questo libro è a p.38:
Scoprii che a Dichtersruhe tutti scrivevano. Incredibile! Erano tutti poeti, novellisti e romanzieri… Non c’era altro luogo al mondo con un numero così alto di letterati volenterosi. E tutti proponevano i propri scritti ai grandi editori, i quali immancabilmente li respingevano al mittente. Nessuno, però, si scoraggiava – la pazienza dei valligiani è proverbiale.

Mentre lavoro in libreria, una delle frasi che con regolarità svolazza nell’aria al volume giusto perché qualcun altro, a caso,  la senta, è «Certo che oggi scrivono proprio tutti».
Sì è vero: chiunque scrive, a volte anche persone che non sembrano dei “veri” autori vengono pubblicati da grandi editori. Ma che male c’è? Nessuno! Sì: in il diavolo nel cassetto si sostiene  il contrario, che un po’ di male – la vanità – c’è. Se nel cassetto c'è un sogno, non affibbiamogli la catena della vanità per reprimerlo: in fondo, a cosa serve tanto rigore?
Io penso che tutti dovremmo concederci di scrivere un libro. Perché scrivere fa bene.

In attesa di prove scientifiche su questa mia convinzione, a chi non è d’accordo propongo di fare un tentativo: provate a scrivere! 
Chissà? Magari cambiando il punto di vista… Forse la Vanità si farà avanti. O forse no. Probabilmente non passerà l'editore Volpe a pregarvi di pubblicare con la sua "eccellentissima" casa editrice. Pazienza.
Resterà il gusto di avere lavorato con le parole, e, suppongo una sensazione che prima non c'era.

La cosa davvero divertente di Maurensig è che leggendolo si riconoscono due avversari, il Bianco contro il Nero, e ci si schiera prima da una parte e poi dall’altra, e poi si cambia ruolo, e poi ancora. Proprio come in una partita a scacchi giocata contro noi stessi.

Paolo Maurensig, foto presa da internet dopo timida ricerca del fotografo

http://www.einaudi.it/libri/libro/paolo-maurensig/il-diavolo-nel-cassetto/978880623666

giovedì 1 giugno 2017

«Ho letto che investire in azioni comporta grossi rischi. Ho smesso di leggere!» BITGLOBAL: L’inganno del denaro nell’incanto del romanzo

Libri: Bitglobal, L’ultimo cliente, La linea d’ombra
Parole: bitcoin, rischio, fiducia, verità

Qualcosa di stimolante e ad alto tasso di novità.
Questa è, stringi stringi, la mia impressione su Bitglobal, un romanzo uscito da poco e che ho già riletto: è una fiction che insegna qualcosa a chi ha curiosità per la Scienza delle finanze e per l’Informatica. Se lo vorrete, espanderà il vostro sapere. Altrimenti … è un giallo, classico perche distribuisce bene gli indizi e sfida i neuroni, innovativo perché bilancia la trama con un tema di attualità. Anche se il vostro bagaglio culturale non crescerà, le endorfine verranno rilasciate a fiumi!
Veniamo al “nocciolo”: come è nato questo post?  
Pietro Caliceti, autore di Bitglobal, ha già scritto un romanzo, un legal thriller, L’ultimo cliente. Un sabato è passato in incognito in libreria e mi ha domandato, con discrezione: «Scusi, avete L’ultimo cliente?». Gli ho fatto, più o meno, così: “certo che lo abbiamo, un giallo che presenta la crisi delle nostre aziende”. Lui mi ha detto qualcosa tipo “l’autore sono io”, timido (guardandosi le scarpe). Quattro chiacchiere. E così…


Abbiamo presentato Bitglobal il 26 maggio scorso, un solo giorno dopo la pubblicazione; è venuta la tv locale, è iniziata la vendita, sono arrivate le recensioni positive. A Caliceti l’operazione-originalità è riuscita. Il suo nome non supererà mai Katy Perry o Francesco Totti nelle ricerche su Google, ma anche lui ha la sua unicità.


IL BITCOIN, IL LIBRO E LE LINEE D’OMBRA.

Il Bitcoin: col termine bitcoin si possono indicare tre cose diverse e legate: è il nome di una moneta virtuale, che nessuno stampa ma che tutti possono usare, definisce la “rete dei pagamenti” effettuati con questa moneta virtuale ed è anche il programma che si deve usare, scaricandolo su pc o su mobile, perché la moneta circoli; dire Bitcoin e un po’ come dire Spirito Santo.
Le transazioni con monete “emergenti” non sono il vostro forte? Oh, allora avete DAVVERO un buon motivo per provare questo libro. Ci sono un paio di spiegoni, densi, fighi e un po’ lunghi, innestati naturalmente nell’intreccio, che illustrano questioni complicate tenendo il lettore dentro la trama. La lunghezza mi è parsa, a fine lettura, indispensabile. Caliceti è partito dal bitcoin, ma la sua preoccupazione è scrivere una storia originale. Il bitcoin, semmai, preoccupa le banche Wells Fargo sparse per il mondo, e chiunque ricava denaro dalle commissioni sui pagamenti: il nuovo sistema, infatti, scavalca allegramente tutto il lavoro fatto da American Express e compagnia bella. Magari assisteremo a qualche cambiamento nel settore bancario...

Il libro: una storia per il grande pubblico contiene temi universali. Le monete virtuali non hanno lo status del tema di interesse universale (per ora), quindi cosa c’è di universale in questo volume?
Rischiare per un grande profitto. Non si tratta di avidità, ma di un moto istintivo meno concreto. A p.394 si legge: … “la gente, se solo spera di riuscire comunque a cavarci un profitto, accetta il rischio di essere ingannata […]ma nonostante questo investe comunque”.

Questo brano descrive uno dei passaggi di Linee d’ombra vissuto da alcuni protagonisti di Bitglobal; ho deciso di lasciarlo così, con una riga bianca eloquente, e penso che la cosa migliore sia non dire altro.
Ovviamente il libro non si risolve qui; contiene altri temi universali e io sono riuscito a isolarne due:
La fiducia e la verità. Il contesto in cui questi due temi vengono sviluppati è specifico, esclusivo: i protagonisti della vicenda sono l’avvocato Greg Giuliani e il suo giovane assistente Fabio Mengoni; tra uno studio legale e un altro, si deve concludere un affare multimilionario tra la BitGlobal - un azienda leader nel settore Bitcoin - e un fondo di investimento italiano guidato dall’aristocratico manager Leonardo Della Rovere. Questi è il cliente “tosto”, di grande carisma e blasone, del brillante avvocato Giuliani. BitGlobal è composta dal duetto Dobson & Galsworthy, esperti l’uno di informatica e l’altro di matematica finanziaria, i quali, nel tentativo di strappare a Della Rovere e i suoi soci cifre a otto zeri, dipingono l’azienda come l’astro nascente della new economy. Tutto vero?
“La fiducia prima di tutto”. Sembra uno spot? Uno spot abusato: questo abuso potrebbe essere lo spunto da cui è partito Caliceti. Sembra che tutti ci dicano “prendi i nostri prodotti, accetta il nostro consiglio”. L’autore ci sottopone scene in cui i vari attori devono fare i conti con la fiducia: le riunioni in uno studio legale tra spirito di squadra e tradimento; la collaborazione tra l’assistente giovane e fiducioso e un avvocato molto dotato, suo capo; lo stesso avvocato, infine, vede messa alla prova la fiducia che lo lega a Della Rovere. Più volte il lettore si chiede “questo personaggio si sta fidando di quest’altro? è rischioso! si rivelerà un errore?”
“La verità assoluta è un’opinione”. C’è un passaggio-chiave a p.281, cioè in pieno negoziato: due squadre contrapposte, che vogliono scucirsi centinaia di milioni di euro a vicenda, tensione al massimo e energie nervose allo stremo. Il lettore è già diventato Mengoni, perché Mengoni assiste alla diatriba. Sul campo della battaglia per il contratto, il piano si inclina più volte,
e la lettura ne segue l’inerzia, e la segue da presso,
e l’inerzia s’inverte sempre più velocemente…

… “Certo, pensò Mengoni, c’è anche questo problema. Però lo stesso ebbe una sensazione strana. Era come se ad ogni momento venisse fuori un nuovo strato di verità. Erano tutti veri; ma se erano tutti veri, c’era davvero una verità?”
Mengoni è il personaggio che deve passare la Linea d’ombra; più di una volta. Ogni volta con un torcersi di viscere.
Qual è il disagio? Il disagio, per me, è che ho ricordato quando ho vissuto la “sensazione strana” di un passaggio tra livelli di verità diversi, quando mi è parso incompleto quello che per un po’ era stato il mio strato di verità “di comfort”. E per giunta, al disagio di riconoscere che mi ero sbagliato, si aggiungeva la sensazione di non poter in alcun modo fare a meno di accettare che la nuova verità fosse migliore della precedente; che sarebbe stato stupido rimanere allo stato anteriore, ma altrettanto sarebbe stato insufficiente il procedere. In pratica: la follia.

Le Linee d'ombra: nelle scene intorno al brano riportato si scende sempre più in profondità, a un punto in cui potremmo rivolgere domande a noi stessi, in mancanza di occupazioni migliori. Il negoziato per Bitglobal, credo sia uno stratagemma da scrittore per parlare di Noi: è un negoziato simbolico, per così dire; è il tentativo di fare un patto, il patto che cerco tra due me stesso, quando c’è una scelta cruciale da fare, quando devo crescere e  sono in procinto di passare una Linea d’Ombra.
Avete presente quando si percepisce che, sì, potrei scoprire di più, ma avverto un allarme, un fastidio, e se scavo troppo potrei “sfondare”?
Dubiti che ci sia un fondo, un traguardo definitivo e soddisfacente. E pensi che la risposta migliore sia, davvero, che non c’è UNA verità. Che conviene saper stare meglio possibile nella verità che si percepisce, coi sensi tesi e aperti al mondo attorno.
Questo me lo ha dato Bitglobal.

Auguro a Caliceti di continuare a scrivere le “cose vere” con il suo tono discreto e sensibile. Di insistere nella ricerca di novità: così continuerà a essere unico, e i suoi libri continueranno a piacere. 

lunedì 17 aprile 2017

Jónasson promoter dell'Islanda Romantica

Libri: L'angelo di neve, Luce d'estate ed è subito notte
Parole: corrente, claustrofobia, appartenenza, Islanda

C’è sempre bisogno di un motivo valido, per scrivere. Bisogna trovarlo. Stavolta ne ho trovati due: il primo è che ho un buon libro da raccontare e il secondo è una polemica dalla quale mi sento toccato. In questo soleggiato aprile, in cui succedono anche cose brutte e molto serie, uno dei temi d’attualità è “lavorare di domenica”. In Italia quasi 5 mln di persone fanno lavori con turni festivi, 3,5 mln hanno un lavoro precario e più di 3 mln sono disoccupate. Tra chi ha deciso di esprimere il proprio parere attraverso i social, prevalgono i contrari al lavoro domenicale. Io sono in minoranza: a me va bene lavorare anche nei festivi.
Questo E’ il punto di vista di un libraio lavoratore-dipendente, e NON E’ una contestazione dell’opinione altrui: se mi lasciate lavorare in pace a Pasqua, vi prometto che non lavorerò qualche altra domenica. Ok?


                      1 L'Angelo di Neve fa bella mostra di sé insieme ad altri gialli scandinavi

Come dicevo, ho anche trovato un libro bello. La comunità di autori, che forse esagero a chiamare “Scuola Scandinava”, non si è seduta sulla sua buona reputazione ma si sta aggiornando e allargando, e questo rende tutto il movimento ancor più interessante. Sono convinto che ci sia ancora molto da scoprire circa la letteratura del Nord Europa, anche al di fuori della corrente del crime scandinavo.
Quando si parla di narrativa, l’Islanda viene considerata un paese scandinavo. Anche qui, sul “continente”, gli islandesi si leggono bene. Mi pare che l’apporto islandese al successo globale dei libri nordici sia notevole. E questo è sorprendente se si considera che al mondo ci sono solo 330mila islandesi! Obiettivamente non è una grossa cifra. Su questo essere pochi e perlopiù decisamente “appartati”, i migliori tra loro ci scherzano su. L’autore Jòn K. Stefànsson, ad esempio, ha ironizzato su certi tratti tipici islandesi nell’incipit del suo ultimo libro:
Stavamo quasi per scrivere che la particolarità del paese sta nel non averne nessuna […] sicuramente esistono altri luoghi in cui la maggior parte delle case ha meno di novant’anni, luoghi che non vantano nessun personaggio rinomato, nessuno che si sia fatto notare nello sport, nella politica, nel commercio, nel mondo del crimine.  Luce d’estate ed è subito notte, p. 7
E poi c’è gente come Ragnar Jónasson. Questo giovanotto classe ‘76 veleggia alla grande nel Regno Unito, ed è un islandese che è emerso. Ho letto il suo libro d’esordio, L’angelo di neve, e l’ho trovato molto emozionante. Un motivo valido in più per dedicargli un post è che questo è il primo suo libro pubblicato nella nostra lingua. L’ambientazione è particolare: nel suo essere estremamente nordica risulta anche molto esotica, specie per noi italiani. Siamo nella città di Siglufjörður, vicino all’area più sperduta dell’Islanda, i Fiordi Occidentali. I fatti si svolgono tra fine 2008 e inizio 2009, durante la pesante recessione economica. Il protagonista, Ari Þór Arason, proviene dal sud, da Reykjavik, dove il clima è migliore e la gente più aperta o, piuttosto, meno abbottonata, ed è il classico pesce fuor d’acqua. 
Siglufjörður conta 1200 residenti, ed  è universalmente catalogabile come Piccola Città; peraltro, da quando le aringhe hanno lasciato il fiordo su cui si affaccia, è indubbiamente un EX florido-centro-commerciale-marittimo. Succede poco, vige il rispetto reciproco e il massimo della vita è fare parte della filodrammatica (amatoriale). Per i concittadini, però, è una città "grande", dato che vanno considerate veramente piccole solo le città con 600 abitanti. Questo ci serve per capire subito il contesto, ed entrare nel mondo islandese, il quale ha regole e misure tutte sue. Un mondo dove l’acqua dei rubinetti, di base, è calda e dove, per la stessa ragione, gli alberi di Natale arrivano dalla Svezia, e quella ragione è la straripante vitalità geotermica, che scalda le falde e rende la vita difficile alle radici degli alberi. Detto questo, si tenga presente che Siglufjörður pare abbia un clima invernale da incubo. O almeno così sembra  a chiunque sia abituato agli inverni a sud di quella “grande” città. Una cosa che mi piace un sacco del libro è che, al pari di Ari Þór Arason, il Clima è Protagonista. Ari  Þór (leggiamolo pure Ari Thor all’inglese o meglio ancora Ari Dor) è un bel giovanotto di 24 anni che si trova a un bivio della propria vita: è uno che non mette radici, un istintivo, e fino a poco tempo fa stava studiando teologia. Si trovava giusto sul punto di divertirsi parecchio sotto alle coperte con la sua ragazza quando, improvvisa e torrentizia come solo le proposte di lavoro islandesi possono essere, gli arriva un’offerta del tipo “prendere o lasciare” dal distretto di polizia di Siglufjörður. Gli telefona personalmente il capo della Polizia Locale, Tomàs, un uomo tutto d’un pezzo che ha sempre vissuto a Siglufjörður, cioè molto, molto lontano da Reykjavik.
Ari Dor accetta su due piedi.
La sua ragazza ne prende atto glacialmente, come solo le ragazze islandesi (deduco) sanno prendere atto delle decisioni impulsive e del tutto destabilizzanti del proprio partner. Il profilo di Ari Dor rimane descritto in modo grezzo. I tratti presenti in questo episodio si devono prendere necessariamente come i più salienti. Certo… Alle bufere di neve vengono dedicate descrizioni più esaustive e mi auguro che la sua caratterizzazione migliori nella prossima puntata. D’altra parte il meteo infernale del gennaio islandese è davvero importante in questa storia: è esso a portarci nel necessario clima di tensione claustrofobico. Siamo a metà libro, al 18 gennaio 2009, tra interminabili tormente e odiose valanghe quando l’autore butta lì che “l’atmosfera COMINCIAVA a diventare opprimente”. Il che è tutto un programma. Una situazione simile avrebbe fatto venire l’esaurimento nervoso anche ad Osho; comprendi che Ari Dor sta letteralmente sbroccando e solidarizzi con lui. Infatti, mentre i cittadini di Siglufjörður sembrano “felici di godersi il maltempo da dietro le finestre”, Ari Dor inizia a subire tanto la mancanza di quel senso di rifugio che ti da casa tua, quanto la forza irrefrenabile e superba degli elementi. Prima gli sembra di “non riuscire a respirare”, poi inizia a passare notti insonni mentre la neve sale fino alle finestre, quindi arrivano gli attacchi di panico e a un certo punto l’“oscurità gelida lo inghiottì”. In questo simpatico contesto c’è pure da indagare, agli ordini del burbero Tomàs, sulla morte di un cittadino illustre e su un’aggressione ai danni dell’Angelo di Neve.
Jónasson descrive bene cosa prova un claustrofobico, e i passaggi in cui Ari Dor soffre sono emozionanti. La galleria di personaggi di Siglufjörður riempie benissimo il quadro giallo della storia e rende vivide le fasi, ben architettate, delle indagini.
Nel finale, quando si raccolgono tutti i fili ma non tutto va come dovrebbe, si prova un senso di disorientamento “contagiosamente umano”, per dirla alla David Foster Wallace. Succede una volta che il caso principale viene risolto, al termine di una sequenza di depistaggi e di intuizioni. “La giustizia è un’illusione”: a p. 276, sono questa le parole del giovane investigatore Ari Dor con cui riconosciamo l’inevitabile, ciò da cui speravamo di poterci sentire al riparo. Ci scappa un sospiro, più un “eh già”, più una leggera espirazione nasale finale. La giustizia in questo romanzo non è impossibile, ma - più concretamente - è scivolosa come un pezzo di ghiaccio. Non c’è alcun disamore verso la ricerca della verità, no. Ma quando gli uomini si applicano perché giustizia sia fatta, devono fare i conti prima di tutto con le proprie debolezze – Ari Dor è ingenuo e impulsivo – e poi con altri uomini. E a volte i conti non tornano. Non cercate filosofia in questo libro, godetevi le emozioni che suscita! Molte sono amare, altre spaventose, ma c’è dell’altro. Dalla scena in cui  Tomàs, nonostante tutto, promette fedeltà alla sua Città e alla sua Terra, scena con la quale Jónasson sembra volerci dire “arrivederci”, trasparisce serenità: lo stesso paesaggio che ha saputo intimorire e tormentare, può regalare la grande gioia di saper stare nella Natura e riuscire a godere della sua Maestà.
È un affettuoso tributo all’Islanda, e un invito a tentare di spiegarsi perché un essere umano si sente legato al territorio dove è nato e cresciuto, fosse anche un angolo d’inferno.

2. Me e due Eroi Romantici,
Islanda, 2004
(archivio privato).

Più che per la riuscita del mix con cui si costruisce un buon giallo, L’Angelo di neve si distingue sia come libro sui tormenti psichici indotti da un clima estremo, sia come biglietto da visita 
per una corrente neoromantica di stampo nordico, adatta a un pubblico trasversale, ampio e in cerca di un nuovo esotismo. Più freddo che mai.